Data: 17/09/2022 05:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Non spetta il risarcimento alla moglie infedele

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Non spetta al giudice, con i suoi poteri istruttori, colmare le lacune probatorie della donna che chiede i datti causati dall'illecito utilizzo dei suoi dati che ha condotto alla fine del suo matrimonio a causa della scoperta della sua relazione extraconiugale. Niente risarcimento pertanto per la moglie adultera. Queste in estrema sintesi le conclusioni della Cassazione n. 27224/2022 (sotto allegata).

La vicenda processuale

Una donna ricorre in giudizio per chiedere i danni a una società derivanti dalla violazione dei suoi dati e del successivo utilizzo degli stessi senza consenso.

A causa di tale illecito utilizzo, infatti, la targa della sua auto è stata fotografata, senza poter essere criptata, con conseguente scoperta da parte del marito dell'insolito parcheggio della moglie in una "insolita" strada, tanto che la stessa è stata costretta a rivelare la sua relazione extraconiugale. Evento che ha condotto alla fine del suo matrimonio.

La società in primo grado, nel costituirsi, eccepisce il difetto di legittimazione in relazione al servizio oggetto di controversia, perché la stessa si occupa solo di promozione di pubblicità online di prodotti e servizi, di Direct Marketing e di attività editoriale.

Rileva inoltre che quanto accaduto alla signora sia una vicenda personale del tutto scollegata dal comportamento di chi ha gestito i suoi dati. Generica e indeterminata è poi la domanda sui danni.

Il Tribunale respinge la domanda della donna, accogliendo la tesi della società convenuta stante la mancata prova del nesso di causa tra la condotta contestata e la fine del suo matrimonio.

Società convenuta legittimata passiva

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Nel ricorrere in Cassazione la donna si oppone all'affermato difetto di legittimazione della convenuta, designata come rappresentante in Italia e quindi tenuta al rispetto della normativa sulla privacy.

Con il secondo motivo invece contesta la motivazione sull'omessa prova del nesso di causa in quanto, a suo dire, il codice privacy impone "l'informativa preventiva al pubblico circa le riprese fotografiche che saranno utilizzate su ….il trattamento dei dati personali acquisiti attraverso tali riprese fotografiche secondo le modalità protettive imposte dal codice privacy".

Per quanto riguarda poi le prove relative alla vicenda personale il giudice avrebbe potuto avvalersi dei poteri istruttori di cui all'art. 421 c.p.c.

Non spetta al giudice provare i fatti

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La Cassazione però non accogli il ricorso perché inammissibile.

La ricorrente non è riuscita a dimostrare la legittimazione passiva della convenuta, inoltre, come rilevato dal Tribunale, la vicenda è priva di ogni allegazione istruttoria e il giudice non si è attivato nell'esercizio dei suoi poteri istruttori d'ufficio in quanto tale attività "non può mai essere volta a superare gli effetti derivanti da una tardiva richiesta istruttoria delle parti o a supplire ad una carenza probatoria totale, in funzione sostitutiva degli oneri di parte, in quanto l'art. 421 c.p.c., in chiave di contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale - quale caratteristica precipua del rito speciale - consente l'esercizio dei poteri ufficiosi allorquando le risultanze di causa offrano già significativi dati di indagine, al fine di superare lo stato di incertezza dei fatti costitutivi dei diritti di cui si controverte; ne consegue che tale potere non può tradursi in una pura e semplice rimessione in termini del convenuto tardivamente costituito, in totale assenza di atti quantomeno indiziari, che consentano al giudicante un'attività di integrazione degli elementi delibatori già ritualmente acquisiti."


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