Data: 29/09/2022 07:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Responsabilità pediatra

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Respinti i ricorsi di due medici condannati in sede di appello per il reato di omicidio colposo di un minore per non essersi adoperati tempestivamente e aver trattenuto il bambino in ospedale per i necessari accertamenti diagnostici che gli avrebbero salvato la vita.

Questo il succo della sentenza n. 36044/2022 della Cassazione (sotto allegata), che contiene importanti richiami a principi in materia di responsabilità medica ormai consolidati.

Decesso di un minore con bronchite

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Un bambino muore e del decesso vengono ritenuti responsabili due pediatri, anche se in appello la pena viene rideterminata in loro favore.

Ai due imputati viene contestato di aver cagionato la morte di un bambino di dieci anni, con condotte colpose indipendenti. Decesso avvenuto per arresto cardiocircolatorio in conseguenza di una stenosi tracheale iatrogena post-intubazione in un quadro di diffusa e severa bronchite.

Ai medici viene imputata la responsabilità suddetta soprattutto perché, alla luce della formulata diagnosi di bronchite, il bambino non è stato ricoverato per essere sottoposto ai necessari accertamenti nonostante "il peggioramento delle condizioni respiratorie, il tipo di dispnea, la progressiva comparsa di intensa astenia e disfonia." Accertamenti che avrebbero consentito di accertare le cause della difficoltà respiratoria e rimuoverla.

I medici contestano la responsabilità attribuita

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Il medico pediatra del reparto contesta la decisione perché "la esigibilità della condotta alternativa avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle conoscenze di cui l'agente era in possesso al momento della condotta e non già rispetto a quelle più ampie di cui il giudice dispone al momento del giudizio (...) in ogni caso, anche laddove si fosse ritenuta la responsabilità di (…) la Corte avrebbe dovuto ricondurre il suo operato entro i limiti della colpa lieve che esclude la rilevanza penale della condotta ai sensi dell'art. 3 del D.L 13 settembre 2012 n. 158 (c.d. Decreto Balduzzi), applicabile al caso in esame ai sensi dell'art. 2 cod. pen."

L'altro medico pediatra invece contesta soprattutto alla Corte di Appello di non aver "stimato l'elevata probabilità della guarigione, nel caso di sottoposizione del paziente ad intervento chirurgico, sulla base di un dato statistico, già di per sé poco tranquillizzante (exitus mortale post operatorio nel 15/30 per cento dei casi), e comunque non declinato sulla concreta condizione di severissimo impegno patologico del paziente."

Esami più approfonditi in ospedale avrebbero salvato il bambino

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La Cassazione giudica entrambi i ricorsi inammissibili perché ritiene corretto l'iter logico della decisione della Corte di Appello soprattutto quando la stessa precisa che da entrambi era esigibile l'individuazione della occlusione e la conseguente programmazione nei giorni successivi dei necessari esami diagnostici finalizzati a confermare il sospetto di stenosi.

E infatti la morte del minore è da ricondurre alla omessa formulazione del sospetto diagnostico, della vigilanza del paziente e degli approfondimenti diagnostici, che richiedevano una certa sollecitudine.

Nessuna colpa lieve può essere attribuita dal medico che la invoca in quanto: "sulla base della sua specializzazione di medico pediatra in servizio presso l'ospedale e delle conoscenze che a tale specializzazione ineriscono, avendo visitato il bambino, avrebbe dovuto rilevare sintomi evidenti (ed anche piuttosto univoci), formulare (pur senza essere a conoscenza delle pregresse intubazioni) il sospetto diagnostico suindicato (quanto meno di generica ostruzione) e prescrivere accertamenti ulteriori atti a confermare il sospetto, a cui sarebbe seguito un intervento chirurgico, a quella data ancora salvifico."

Dalla responsabilità medica non è esonerato neppure l'altro pediatra anche perché in tema di colpa l'errore diagnostico si configura anche quando vengono omessi i controlli e gli accertamenti doverosi al fine di giungere una corretta formulazione della diagnosi.

La Corte di Appello, che ha ancorato il proprio giudizio contrattuale alle conclusioni dei periti, ha evidenziato che gli esami finalizzati a confermare il sospetto diagnostico, potevano essere effettuati in una giornata in ospedale e che l'intervento chirurgico di rimozione della stenosi poteva essere praticato e sarebbe stato salvifico per il paziente in quelle condizioni, per cui "la morte, intervenuta a distanza di cinque giorni rispetto alla condotta incriminata, sarebbe stata evitata dal comportamento alternativo corretto."


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