Data: 30/09/2022 06:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Assegno divorzio: contano sacrificio e ruolo in famiglia

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Alla Corte di Appello il compito di rideterminare l'assegno divorzio alla ex moglie, che rispetto ad un mantenimento iniziale di oltre 17.000 euro si è vista riconoscere un assegno di divorzio di "soli" 6000 euro. Per la Cassazione, la Corte di appello, nell'applicare tale riduzione, non ha tenuto conto di quanto sancito dalla SU del 12018, trascurando lo squilibrio economico tra i coniugi, il sacrificio della moglie del lavoro di insegnante e il contributo che la stessa ha dato alla famiglia e all'accrescimento del patrimonio anche del coniuge. Questa la decisione della Cassazione contenuta nell'ordinanza n. 27948/2022 (sotto allegata).

Assegno divorzio negato dal Tribunale

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Il giudizio di divorzio iniziato in Tribunale inizia male per la moglie, che si vede respingere la domanda relativa all'assegno divorzio. In sede di appello però la Corte accoglie in parte l'impugnazione della donna e pone a carico del marito un assegno di divorzio mensile di 6000 euro.

Ridotto ad un terzo l'assegno divorzio

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Nel ricorrere in Cassazione, sulla questione specifica dell'assegno di divorzio, la moglie contesta alla Corte di appello di averle ridotto l'assegno da 17.200,00 (a cui aggiungere la rivalutazione) a 6000 euro al mese, tanto più che lo stesso era stato concesso volontariamente dall'ex marito in sede di accordi e rimasto inalterato per dieci anni.

Assegno divorzio da rideterminare

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La Corte di Cassazione ritiene fondato il motivo del ricorso che verte sulla quantificazione dell'assegno di divorzio. Ora, poiché la decisione impugnata è stata adottata prima della SU del 2018, che ha dettato i nuovi criteri per il riconoscimento e la quantificazione dell'assegno di divorzio, la Corte di Appello non ha potuto applicare in modo coerente la giurisprudenza, anche perché fino alla sentenza n. 11504/2017 la quantificazione dell'assegno divorzio era finalizzata a far conservare al coniuge beneficiario lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Alla luce però di detta sentenza, che ha eliminato il criterio del tenore di vita, la Corte di Appello, nel rispetto del nuovo principio di autoresponsabilità, ha sancito che la scelta di cessare l'attività lavorativa extra familiare è stata condivisa dalla ex moglie, precisando che la stessa "pur dotata di professionalità notevole come insegnante di ruolo nella scuola, nonostante un matrimonio durato neppure nove anni, nonostante la sua ancor giovane età al momento della separazione (43 anni), che gli avrebbe consentito di ritornare a lavorare e rendersi almeno parzialmente autonoma, a livello reddituale, non risulta aver mai neppure tentato di riprendere una attività lavorativa, nonostante i lauti proventi elargiti dal marito per lei e per i figli con la separazione, che l'avrebbe consentito di farsi aiutare ampiamente sia nell'accudimento dei figli sia nella gestione della casa."

La moglie quindi per la Corte non ha sacrificato alcuna aspettativa professionale, essa infatti, stando alla sentenza, avrebbe scelto di non procurarsi le risorse economiche necessarie per rendersi autonoma, almeno in parte. Poiché ad oggi però la donna ha 53 anni, le condizioni del mercato del lavoro non le consentono di trovare un'occupazione e poiché la stessa è titolare di un ingente patrimonio, alla Corte di Appello è "sembrato" più che congruo il riconoscimento di un assegno mensile di divorzio di 6000 euro.

Il tutto però, come già precisato sopra, trascurando i nuovi dictat delle SU 2018.

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