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Data: 15/10/2022 07:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate
Il RdC non è uno stipendio[Torna su]
Non si può revocare il reddito di cittadinanza al soggetto a cui è stata applicata la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici. Esso non ha natura di stipendio o pensione, somme revocabili in presenza della suddetta pena accessoria. Il RdC è più una misura di sostegno al reddito, di contrasto alla povertà e di lotta all'emarginazione. Questo quanto sancito dalla Cassazione n. 38383/2022 (sotto allegata). La vicenda processualeIn sede di riesame il Tribunale conferma il decreto con cui è stato disposto il sequestro preventivo di somme di denaro nella disponibilità di due soggetti sottoposti ad indagini per alcuni reati, tra i quali la violazione della normativa sul reddito di cittadinanza. Gli stessi, nelle richieste finalizzate a ottenere la misura, hanno infatti omesso di comunicare che con sentenze definitive sono state loro applicate rispettivamente la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici e la pena della interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni. Uno dei due inoltre aveva subito anche una condanna definitiva nel decennio precedente per i reati di cui all'articolo 416 bis codice penale e 74 del d.p.r. 309 1990. Il reddito di cittadinanza ha natura di prestazione assistenziale[Torna su]
Il difensore comune propone ricorso, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza e, quanto alla posizione di uno dei due, deduce che lo stesso è stato condannato per il reato in materia di stupefacenti, che però non risulta tra quelli che ostacolano l'ottenimento del reddito di cittadinanza. Rileva inoltre che il Tribunale ha riconosciuto al RdC la natura di prestazione assistenziale per soddisfare le esigenze di vita, per cui non avrebbe dovuto equiparare il sussidio a uno stipendio, a una pensione o a un assegno, prestazioni queste si, revocabili a causa della applicazione delle pene accessorie. Resta il RdC a chi ha l'interdizione perpetua dai pubblici uffici[Torna su]
La Corte di Cassazione accoglie solo il ricorso di uno dei due imputati. Condivisibile l'argomentazione che la difesa ha fatto propria in relazione al parere su cui si è espresso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Si dubita infatti che il reddito di cittadinanza possa rientrare nella nozione di "assegno" visto che lo stesso viene erogato tramite una Carta apposita e la cui finalità è quella di soddisfare i bisogni primari. Il reddito di cittadinanza ha infatti natura e funzione ibrida in quanto misura di politica attiva finalizzata a garantire il diritto al lavoro, contrastare la povertà, la disuguaglianza e l'esclusione sociale, assicurare l'informazione, l'istruzione, la cultura, la formazione e l'inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione dalla società e dal mondo del lavoro. La legge sul reddito di cittadinanza preveda ostacoli specifici all'ammissione al beneficio legati alla commissione di reati gravi, in relazione ai quali la condanna definitiva deve essere intervenuta diversi anni prima rispetto alla presentazione della domanda. Il legislatore ha quindi voluto senza dubbio derogare alla previsione generale dell'articolo 28 comma due del codice penale, la quale stabilisce che l'interdizione dei pubblici uffici priva il condannato di tutta una serie di diritti, a meno che la legge non disponga altrimenti. Manca nel caso di specie il fumus del reato in relazione al quale è stato disposto il sequestro delle somme nei confronti dell'indagato. L'ordinanza impugnata va quindi annullata così come il decreto di sequestro in relazione alla posizione del ricorrente. |
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