Data: 11/11/2022 08:00:00 - Autore: Francesco Paolo Mastrovito

Lo stato dei fatti

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La morte di Elia Putzolu, il terzo Foreign fighter italiano che ha perso la vita in Ucraina, combattendo tra le file dell'esercito russo, riapre gli interrogativi sullo stato giuridico dei nostri connazionali combattenti per l'uno o l'altro degli schieramenti in guerra.
Il primo italiano a perdere la vita in combattimento si chiamava Edy Ongaro, era un militante nelle fila dei separatisti filorussi del Donbass.
La notizia della sua morte, investito dall'esplosione di una bomba a mano in un villaggio a nord di Donetsk, è giunta lo scorso 30 marzo.
Poi la notizia di Benjamin Giorgio Galli, morto a Kharkiv mentre combatteva con le forze di Kiev.
Secondo i servizi di Intelligence e Antiterrorismo, sarebbero circa venti i nostri connazionali combattenti in Ucraina, da una parte e dall'altra dei due schieramenti.
Uno di essi (A.P.) è latitante a seguito di due condanne, tra cui figura il reato di reclutamento illegale.
Altri Foreign fighters (le iniziali dei loro nomi sono G.S., M.C., R.S., K.C., I.V.) di cui la stampa ha dato notizie sono a vario titolo "sotto osservazione" dell'Autorità Giudiziaria per verificare l'eventuale esistenza di un giro di reclutamento illegale di mercenari; in particolare per uno, arruolato nella Brigata internazionale ucraina, è stata resa nota l'apertura di indagine dell'autorità giudiziaria italiana perché ritenuto un mercenario.
In questo ultimo caso, il nostro connazionale rischia una condanna fino a sette anni, così come previsto dalla legge n. 210 del 12 maggio 1995 con cui l'Italia ha ratificato della Convenzione internazionale (New York, 1989) contro il reclutamento, l'utilizzazione, il finanziamento e l'istruzione di mercenari.

Norme di riferimento: conseguenze penali

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In disparte qualsiasi valutazione extra-giuridica, arruolare mercenari oppure combattere per un paese diverso dal proprio costituisce, per il nostro ordinamento, reato.
Secondo il codice penale un cittadino italiano non può scegliere liberamente di entrare in un esercito straniero e neppure senza compenso può offrirsi volontario per partecipare ad un conflitto armato combattuto all'estero. In sintesi, senza autorizzazione del governo, è illegale arruolarsi in un altro esercito regolare o formazione combattente diversa dalle Forze Armate italiane.
La legge annovera tali condotte tra i delitti contro la personalità dello Stato.
L'art. 244 co. 1 del codice penale punisce con la reclusione da 6 a 18 anni chi, senza l'approvazione del Governo, fa arruolamenti o compie altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre l'Italia al pericolo di una guerra. La pena è dell'ergastolo se la guerra effettivamente avviene a seguito di detti atti.
Va da sé, infatti, che chi parte dall'Italia per partecipare ad un conflitto, inevitabilmente si schiererà contro una nazione per aiutarne un'altra. In questo caso, chi combatte per un altro Paese commette il reato di atti ostili contro uno Stato estero e la conseguente pena va dai 3 ai 12 anni poiché vengono messe a repentaglio le relazioni diplomatiche tra Stati (art. 244, co. 2).
Ora, le pene - come già accennato - non riguardano solo i Foreign fighters che lasciano l'Italia per combattere per conto di altri Stati. Ma sono colpevoli anche coloro che si limitano a fare opera di arruolamento, ad esempio formando una brigata internazionale, finanziandola o anche solo dando loro armi; ossia chi, formalmente, intende arruolare cittadini di un altro Stato per reclutarli in un esercito straniero.
Al riguardo, l'art. 288 del Codice penale punisce con la reclusione da 4 a 15 anni chiunque, senza approvazione del Governo, arruola o arma cittadini affinché partecipino a una guerra straniera. La pena è aumentata se fra gli arruolati vi sono militari in servizio o persone soggette agli obblighi del servizio militare. La differenza con l'arruolamento di Foreign fighters è che questo reato punisce chi cerca di far diventare i cittadini italiani membri di un esercito straniero.
Ad esempio, è il reato che si sarebbe prefigurato quando il consolato ucraino di Milano si propose tramite un post (poi rimosso) pubblicato sul proprio profilo Facebook, di fungere anche da centro di arruolamento per italiani che volessero combattere contro l'esercito russo. Nonostante lo stato di necessità in cui versa il Paese aggredito, l'iniziativa assunta dal Consolato milanese è in chiaro contrasto però con l'ordinamento italiano, che non consente l'istituzione di un centro di arruolamento per miliziani, ancor meno se gestito da un paese estero, sul proprio territorio.
Fin qui abbiamo analizzato il caso di Foreign fighters che, spontaneamente e senza alcun compenso, si recano all'estero per partecipare ad un conflitto armato sia di tipo internazionale, sia di natura non internazionale.
Può esserci – però – il caso di chi accetta di partecipare ad un conflitto armato dietro retribuzione, i cosiddetti mercenari.
Ebbene, l'art. 3, della legge n. 210/1995 stabilisce che chiunque, avendo ricevuto un corrispettivo economico o altre utilità, oppure avendone accettato solamente la promessa, combatte in un conflitto armato nel territorio estero, di cui non sia né cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle forze armate di una delle parti del conflitto o essere inviato in missione ufficiale quale appartenente alle forze armate di uno Stato estraneo alla guerra, è punito con la reclusione da 2 a 7 anni.
A questo divieto va posta l'eccezione per coloro che combattono per uno Stato in cui vivono pur non essendone cittadini. La norma ha quindi voluto tutelare il sentimento di appartenenza che una persona prova nei confronti del Paese in cui abita stabilmente; quindi, tale individuo non può essere considerato un mercenario.

Foreign fighter e mercenari: differenze

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Alla luce di quanto esposto, viene naturale l'interrogativo: quali sono le differenze tra Foreign fighter e mercenari? Ebbene, il discrimine sembra attestarsi sul fatto che il Foreign fighter combatta per motivi ideologici, politici o religiosi, mentre il mercenario lo faccia solo per profitto personale. A tal riguardo, per essere considerati mercenari non occorre necessariamente accettare del denaro: è sufficiente la promessa di qualsiasi altra utilità, come ad esempio la concessione della cittadinanza o di un permesso di soggiorno.
Ora, detta differenza non appare però sufficiente per chiarire perché il legislatore abbia previsto pene meno severe per i mercenari.
In precedenza, infatti, abbiamo inquadrato i Foreign fighters all'interno di coloro che, compiendo atti ostili contro uno Stato estero, rischiano la reclusione da 6 a 18 anni; i mercenari, invece, possono essere puniti con la reclusione da 2 a 7 anni. Chi recluta, utilizza o finanzia mercenari rischia invece la reclusione da 4 a 14 anni.
Potremmo spiegare la differenza di trattamento sanzionatorio (più severo per i combattenti stranieri, meno per i mercenari) in questo modo: i Foreign fighters italiani, combattendo contro uno Stato straniero, mettono potenzialmente a rischio i rapporti tra lo Stato aggredito e l'Italia; i mercenari, invece, agendo solo per profitto personale, non possono creare alcun incidente diplomatico tra Stati, cioè non sono in grado di determinare possibili conflitti nelle relazioni internazionali.

Conclusioni

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Stante quanto sopra detto, appare davvero chiaro che un/una italiano/a che combatte (anche) "gratuitamente" una guerra di altri commette dei reati.
In particolare, poi, nei confronti del nostro Governo potrebbero muoversi accuse di atti ostili (sebbene indiretti) e perfino cause di giustificazione per una potenziale rappresaglia armata, laddove in qualche modo la militanza per un altro Stato non fosse comunque vietata.
A tal riguardo, infatti, il Governo italiano mediante appositi comunicati della Farnesina (primo fra tutti il post del 24 marzo 2022 sul sito istituzionale del MAE) ha ribadito la punibilità dei Foreign fighters italiani.
Parimenti, fuori da ogni dubbio rimane anche il reato a carico dei mercenari e, ovviamente, quello per i cosiddetti reclutatori.

Avv. Francesco Paolo MASTROVITO

Prof. Carlo STRACQUADANEO

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