Data: 22/01/2023 07:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Diffamazione su Facebook contano anche le emoticon

Integra reato di diffamazione pubblicare un post su Facebook in cui si rivolgono offese alla persona offesa solo perché presenta un difetto fisico alla vista. Lo chiarisce la Cassazione nella sentenza n. 2251/2023 (sotto allegata) precisando che se le espressioni denigratorie fanno concludere che l'ipovedente non ha la stessa dignità di interlocuzione degli altri utenti della piattaforma si lede la reputazione e quindi la dignità della persona.
Ripercorriamo in sintesi la vicenda per comprendere le ragioni delle affermazioni degli Ermellini.
In sede d'appello viene riqualificato il reato di diffamazione in ingiuria, ma poiché tale reato è stato abrogato l'imputato viene assolto perché il fatto non costituisce più reato.
L'imputato è stato ritenuto responsabile di offendere la reputazione della persona offesa perchè con un post pubblicato su Facebook ha fatto riferimento nello specifico ai difetti visivi del destinatario delle frasi, dileggiandolo attraverso anche l'impiego di emoticon simboleggianti risate.
La parte civile impugna la decisione in sede di Cassazione contestando la riqualificazione del reato in ingiuria, quando è evidente che trattasi di reato di diffamazione.
Erra la Corte nel ritenere che un deficit visivo non diminuisca il valore di una persona.
La Cassazione accoglie i rilievi sollevati dalla parte civile perché la corte di appello è caduta in contraddizione nell'affermare dapprima che "l'imputato ha volto gravi offese alla parte civile, denigrandola per il deficit visivo" e poi nel ritenere che nel caso di specie non c'è stato pregiudizio per la reputazione della parte civile, visto che "«un deficit visivo non diminuisce il valore di una persona" e che tale condotta ha in realtà messo in cattiva luce solo l'imputato.
Per la Cassazione quindi deve essere condivisa l'eccezione della parte civile, considerato che l condotta di chi prende in giro una persona per alcune caratteristiche fisiche comunicando con più persone è senza dubbio un'aggressione alla reputazione della persona.
La Cassazione ha già affermato sul punto che: "il reato di diffamazione il riferirsi ad una persona con una espressione che, pur richiamando un handicap motorio effettivo, contenga una carica dispregiativa che, per il comune sentire, rappresenti una aggressione alla reputazione della persona, messa alla berlina per le sue caratteristiche fisiche."
Del resto, la reputazione individuale è un diritto inviolabile della persona, strettamente connesso alla dignità, ed è proprio la relazione tra dignità e reputazione che viene in rilievo nel caso di specie, visto che le espressioni impiegate nel post fanno intendere che la persona offesa, poiché ipovedente non ha la stessa "dignità di interlocuzione pari a quella degli altri utenti della piattaforma".

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