Data: 13/02/2023 10:00:00 - Autore: Margherita Marzario

Tra i tanti moniti degli esperti contemporanei dell'infanzia si legge quello dello psicoterapeuta dell'età evolutiva Alberto Pellai: "Ma i bambini non sono robot. Anzi, sono l'esatto contrario. Portano l'imprevedibile nella nostra vita. Soprattutto quando sono piccoli, ci obbligano a una disponibilità incondizionata nei confronti dei loro bisogni". I bambini non sono oggetti, giocattoli o premi da ammirare e ostentare e, poi, da accantonare quando non se ne capisce il meccanismo; sono persone in via di formazione che hanno bisogno, diritto e dovere d'educazione, quell'educazione che è difficile e imprevedibile perché è un processo interpersonale e intrapersonale, una delle primarie relazioni. L'educazione è la forma massima di disponibilità incondizionata nei confronti dei bisogni dei bambini perché è dare loro tempo, ascolto, sguardo, esempio, ... "Il bambino ha bisogno di essere protetto, nutrito, curato e istruito" (dalla Charte du Charte du Bureau International Catholique de l'Enfance, BICE, Paris 2007).

Disponibilità che, spesso, non è data perché l'educazione comporta sempre più difficoltà per cui pullulano espressioni come "emergenza educativa" "crisi educativa", "povertà educativa". "Anche le parole, come le persone si trasformano – dice lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni -. È il caso di emergenza, che dal significato originario di qualcosa che esce all'improvviso dalla calma delle acque ha assunto quello minaccioso di una circostanza catastrofica. Noi invece ci siamo sforzati di riconsiderare l'emergenza educativa nel suo significato più originario, come ciò che va emergendo, come elemento di novità in cui famiglia e scuola costruiscono un'alleanza per formare gli uomini e le donne di domani". Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia dopo l'art. 27, relativo allo sviluppo del fanciullo in cui i soggetti richiamati sono soprattutto i genitori, e dopo l'art. 28, relativo all'istruzione rivolto prevalentemente alle istituzioni scolastiche, segue l'art. 29, relativo all'educazione, proprio perché a essa mirano (o dovrebbero mirare) l'operato dei genitori e quello delle istituzioni scolastiche.

Lo psicoanalista Massimo Recalcati scrive: "Un tempo esistevano bussole educative che sembrava escludessero il dubbio e le incertezze. L'autorità dei genitori prolungava quella di Dio. Gli insegnanti incutevano rispetto perché la loro funzione era sostenuta dalla forza della tradizione. Oggi queste bussole sono rotte. Siamo in un tempo dove l'autorità simbolica in tutte le sue diverse forme si è incrinata. L'educazione non è però meno importante. Anzi. Solo che deve avvenire senza bussole. Navigare a vista. Mettere in valore più la testimonianza che non l'autorità". Tra le poche bussole educative rimaste vi è l'art. 571 cod. pen. in cui è sanzionato l'abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, che significa che la relazione educativa asimmetrica comporta correzione e disciplina ma nel limite del rispetto delle persone e anche l'art. 2048 cod. civ. "Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte" da cui si evince che il dover rispondere del fatto illecito cagionato dai "minori affidati giuridicamente dalla vita" significa che si ha l'onere e l'onore (che ha la stessa origine di "onesto") di inculcare loro un minimo senso del limite.

Anche don Armando Matteo, esperto di problematiche giovanili, mette in guardia: "La longevità sta cambiando la nostra vita, proprio perché iniziamo a concepirci come tirocinanti senza scadenza, apprendisti del mestiere umano all'infinito; e per questo non abbiamo più il bisogno – o almeno pensiamo così – di diventare adulti, maturi, responsabili di qualche cosa o di qualcuno. Questo rende soprattutto gli adulti sempre meno idonei al loro compito educativo. Senza adulti, però, non ci può essere alcun processo di educazione e di trasmissione di valori o di fede". L'educazione del fanciullo deve tendere a promuovere, inculcare, preparare come si ricava dall'art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia, articolo relativo all'educazione. L'educazione è un processo naturale e necessario nella vita e per la vita e gli adulti non vi possono abdicare, come insegna anche l'etologia (gli animali adulti "rispettano" ruoli e rituali).

La storica Lucetta Scaraffia afferma: "L'educazione all'affettività va di moda. Ma questa è una materia che non si insegna. Prima bisogna educare la persona. Solo allora questa fantomatica affettività sarà una conseguenza di un'educazione ben fatta". Nell'art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia si ripete la locuzione "inculcare nel fanciullo il rispetto" per ben quattro volte. "Rispetto" deriva etimologicamente dal verbo latino "respicere", "guardare di nuovo", quindi è un considerare l'altro, avere riguardo per l'altro che è prima e più dell'affettività. I bambini di oggi non sono cambiati rispetto a quelli delle generazioni passate perché, in realtà, sono cambiati gli adulti. I bambini farebbero a meno della televisione o della tecnologia onnipresente se avessero più attenzione e dedizione, presenze adulte.

Dare l'esempio, fare esempio, essere esempio: questa è l'educazione da impartire senza che vi sia bisogno di aggettivarla come relazionale, valoriale o altro. Educare comporta impegno, fermezza, coerenza e altro. Si riesce a farlo anche senza bacchetta alla mano se si è "bacchetta" nella vita, nel senso di punto di riferimento, nel senso di albero con radici e frutti. "Non fare della tua stima, della tua considerazione lo scopo della vita, ma cerca di vivere esperienze che siano all'insegna della gratuità; da' spazio al desiderio profondo che è in te di portare a termine un impegno, un'attività; coltiva una relazione semplicemente perché questo è bello e vale la pena di essere compiuto" (lo studioso gesuita Giovanni Cucci). Educare è esperienza di gratuità, è "coltivare una relazione semplicemente perché questo è bello e vale la pena di essere compiuto".

Educare è atto di bontà e bellezza. "Esplicitare la maniera con cui si guarda comporta accettare la complessità dell'essere, la sua verità e bontà, per lo più nascoste. Se il mondo ci appare grigio, è perché porta il nostro colore" (G. Cucci). Educare al bello e al buono, alla varietà della vita: educazione estetica, cromatica, visiva.

"Alla base di ogni pedagogia, di ogni relazione in cui qualcuno insegna qualcosa a qualcun altro, sono presenti questa immagine della bellezza dell'educazione, questa idea che anche quanto è difficile verrà facilitato il più possibile, e il sentimento che il ritmo e le tappe dell'apprendistato si potranno seguire con un animo gioioso, aperto e sereno" (lo scrittore gesuita Diego Fares). Educare al bello, educare nella gioia: è questa la "mens legis" della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia e di altri atti normativi.

Educare è atto di coraggio. "Il coraggio è la prima delle qualità umane, perché garantisce tutte le altre. Se manchiamo di coraggio nel sostenere le nostre convinzioni, queste perdono del tutto il loro valore" (lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro). Coraggio e convinzione, coerenza e condivisione: i cardini alla base dello svolgimento della personalità e della costruzione delle relazioni umane, i cardini dell'educazione, soprattutto in famiglia.

Educare è atto di responsabilità. "Spesso, al contrario, si preferisce basare le proprie scelte non su una valutazione oggettiva dell'operato delle persone, ma su temi astratti e pregiudizi. È vero che assumersi delle responsabilità (o irresponsabilità…) costa audacia e fatica, ma investire su questi aspetti, più che su tante teorie, credo sia la vera sfida dell'educazione odierna. C'è, infatti, una domanda di fondo che fa ancora molta paura a tanti: di chi è la responsabilità dell'irresponsabilità? Come possiamo valutare le abilità e le potenzialità delle persone se non ci assumiamo mai «l'irresponsabilità» di provare a investire su di esse? Non è un gioco di parole, è realtà" (lo scrittore Claudio Imprudente). Una delle parole più risonanti della Costituzione è la solidarietà, menzionata nell'art. 2, che richiede responsabilità, rispondere "a" e "di".

Claudio Imprudente aggiunge: "La nostra percezione del corpo vive di consapevolezza, di accettazione di come siamo, di quelli che sono i nostri limiti e risorse e di come preferiamo farne uso. Un percorso lungo e complesso, un viaggio tra le pieghe delle ferite, delle potenzialità, del piacere e del benessere". " E nell'art. 29 lettera a Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia si prevede il "[…] promuovere lo sviluppo della personalità del fanciullo, dei suoi talenti, delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutto l'arco delle sue potenzialità". Il punto di partenza dell'educazione di un bambino è e dev'essere il corpo (corporeità), fondamento del rispetto proprio e altrui: educazione al corpo, del corpo, col corpo.

Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, spiega: "Gli studi psicologici ci hanno ormai chiarito che i comportamenti altruistici sono addirittura innati. Sono iscritti nel nostro Dna e compaiono in età assai precoci. Ciò non esclude che possano esistere altri comportamenti di tipo egoistico, anche questi di natura innata, che rispondono al bisogno di autoaffermazione e di possesso. Si tratta di due facce della stessa medaglia che rispecchiano la complessità della natura umana, dal cui equilibrio dipenderà il nostro star bene al mondo. In entrambe le situazioni sono importanti gli interventi educativi. Per quanto riguarda l'altruismo, se alcuni circuiti non vengono attivati in certi momenti critici, c'è il rischio che non possano più entrare in funzione e che il bambino resti imprigionato nel suo isolamento. Per l'egoismo, l'educazione dovrà incaricarsi di mettere in atto strategie che limitino l'attivazione di circuiti incontrollati. Che fatica per i genitori! Ma ne vale la pena". Nella formazione della persona non è sufficiente l'educazione, ma occorre che l'educazione sia mirata ed equilibrata. Ecco perché nell'art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia si legge che "l'educazione del fanciullo deve tendere a […]".

L'educazione è interazione. "I bambini piccoli sono curiosi e molto creativi, a cominciare dal linguaggio. Sta agli adulti stimolarli e saper interagire con loro, liberandosi degli stereotipi" (A. Fonzi). Il verbo "tendere" e tutta la formulazione dell'art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia danno l'idea della dinamicità dell'educazione e, quindi, il liberarsi e il liberare dagli stereotipi che, invece, sono sempre più seguiti nelle famiglie e nella scuola.

"L'uomo realizza se stesso quando raggiunge il suo "telos", che è insieme "fine" e "confine". L'autoteleologia dell'uomo indica dunque che l'uomo è un fine e un confine per se stesso" (il sociologo Pierpaolo Donati). In questo senso l'educazione: far conoscere "fine" e "confine". Quel "rispetto" ("sguardo che si volge indietro, che si volge di nuovo") richiamato quattro volte nell'art. 29, relativo all'educazione, della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia.

"I problemi sono tanti. Ma il problema dei problemi è la totale mancanza di capacità educative dentro casa, nella scuola e nella vita di ogni giorno. L'educazione va succhiata già dal seno materno e va vissuta, soprattutto nei suoi aspetti più semplici ma più preziosi, prima dai grandi, cioè da noi, per poi passare ai piccoli. Non esistono i no a tempo giusto, come sono spariti i sì significativi. Valgono i capricci, più di ogni altra cosa e soprattutto noi grandi abbiamo perso la pazienza di spiegare. Urlare, arrabbiarsi, punire, sono i tre verbi più diseducativi che esistano. Eppure pare che, secondo la cultura odierna, siano quelli che funzionano" (don Antonio Mazzi, impegnato in attività per il recupero di tossicodipendenti). Nel par. 3 dell'art. 3 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia si parla di qualificazione del personale addetto all'infanzia e di adeguato controllo: i primi a essere qualificati e controllati dovrebbero essere i genitori.

"So che l'esempio è tutto anche se a volte (in una ridottissima minoranza di volte!) si ha a che fare con caratteri e propensioni autonome, poiché c'è anche chi è portato a scegliere coscientemente la parte del male, al di fuori di giustificazioni sociali o culturali collettive. So anche bene, come tutti sappiamo anche se facciamo finta di non saperlo, che nella precisa epoca storica in cui viviamo conta molto di più il modello collettivo, «globale», imposto da un preciso sistema di potere o da più sistemi di potere convergenti nei loro valori di fondo che non i modelli proposti dai singoli genitori ed educatori, anche dai più bravi tra loro. Ad allevare i nostri figli è oggi un «sistema», che si ramifica in modelli che possiamo chiamare di educazione indiretta e però estremamente pressante: il mercato, anzitutto, fatto anche di idee correnti, di media, di pubblicità, di consumi; un'idea di successo e di ben vivere dove dominano narcisismi ed egoismi, prepotenze e manipolazioni palesi e non palesi" (il saggista Goffredo Fofi). Educare non è adeguarsi o adeguare ai tempi ma superare i tempi affinché i figli e i giovani superino tempi e contrattempi, come si evince dal Preambolo e dall'art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia.

"L'autostima è come la foresta pluviale, una volta abbattuta ci vuole un'eternità perché ricresca" (lo psicoanalista Murray Stein, 1994). Dall'educazione dipende la costruzione o la distruzione della persona, quindi occorrono più attenzione e dedizione.

Libertà e responsabilità, diritti e doveri: così gli adulti con i bambini, così tanto gli adulti quanto i bambini. E l'educazione diventa forma di esempio ed esercizio dei binomi libertà e responsabilità, diritti e doveri.


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