Data: 16/03/2023 07:00:00 - Autore: Marina Crisafi

Tendenza a delinquere e unicità disegno criminoso

La semplice tendenza a delinquere del soggetto non è di per sé indicativa dell'esistenza di un'identità di un disegno criminoso. Lo ha stabilito la Cassazione (sentenza n. 10372/2023 sotto allegata), esprimendosi sul ricorso di un uomo, condannato per il reato di cui all'art. all'art. 10 ter del D.Igs. 74/2000 dalla corte d'appello di Milano, perché in qualità di rappresentante legale di una Coop in liquidazione, ometteva di versare nei termini previsti l'acconto Iva per un ammontare di oltre 400mila euro.

Vincolo di continuazione tra i reati

Tra le altre cose, l'uomo eccepisce innanzi agli Ermellini, in ordine all'asserito difetto di allegazione di elementi probatori da cui desumere l'unicita? del disegno criminoso, di aver dimostrato la pendenza, nel medesimo stato e grado, dei due procedimenti e il titolo dei reati contestati e dunque, di aver assolto tutti gli oneri di allegazione e probatori necessari ai fini dell'applicazione delle norme sulla competenza per connessione ai sensi degli artt. 81 cod. pen., 12 c.p.p. e 16 c.p.p.
Rileva che erroneamente il giudice di merito non ha ritenuto sussistente il vincolo della continuazione tra i due fatti e ha ritenuto di fare applicazione della regola prevista dall'art. 18 d.lgs. 74/2000.
Deduce, altresì, vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della medesimezza del disegno criminoso, evidenziando che i due reati sono stati commessi quando egli rivestiva la medesima carica sociale.

Tendenza a delinquere non si identifica con unicità disegno criminoso

Per gli Ermellini, tuttavia, il ricorso è inammissibile.
La Corte, infatti, premette, che, come già precisato in passato, "l'indagine che si impone alla riflessione del giudice chiamato a valutare un'istanza di applicazione della disciplina della continuazione deve concentrarsi su tre essenziali problemi: dapprima verificare la credibilita? intrinseca, sotto il profilo logico, dell'asserita esistenza di un unico, originario programma criminoso; indi, analizzare i singoli comportamenti incriminati per individuare le particolari, specifiche finalita? che appaiono perseguite dall'agente; infine verificare se detti comportamenti criminosi, per le loro particolari modalita?, per le circostanze in cui si sono manifestati, per lo spirito che li ha informati, per le finalita? alle quali erano preordinati, possano considerarsi, valutata anche la natura dei beni aggrediti, come l'esecuzione, diluita nel tempo, del prospettato, originario, unico disegno criminoso" (cfr. Cass. 22/04/1992). E tale accertamento, inoltre, "costituisce giudizio di merito, non sindacabile in sede di legittimita?, se immune da vizi di motivazione (cfr. Cass 28/05/1990; Cass. n. 25097/2007).
Nella specie, i vizi denunciati non sono riscontrabili nella sentenza gravata, avendo il giudice ritenuto che non sia stato soddisfatto l'onere probatorio e che, comunque, non vi sia connessione tra diversi reati, "difettando, sotto il profilo logico, l'asserita esistenza di un unico, originario programma criminoso, in quanto la commissione di reati diversi in tempi diversi da parte del medesimo autore non e? elemento sufficiente a dare prova, sotto il profilo soggettivo, della rappresentazione anticipata di ciascun reato e dell'unicita? del disegno criminoso".
Per cui il giudice di merito, con motivazione affatto viziata e insindacabile in sede di legittimità, ha evidenziato, "che l'unicita? del disegno criminoso non si identifica con la generale inclinazione a commettere reati, magari sotto la spinta di fatti e circostanze occasionali, piu? o meno collegati tra loro, o sulla spinta di bisogni e necessita? di ordine contingente. Tali circostanze non indiziano la sussistenza del medesimo disegno criminoso, quale elemento unificatore, sotto il profilo soggettivo, del concorso materiale di reati, in quanto esso richiede che le singole violazioni siano state deliberate - quanto meno nelle linee essenziali - sin dal momento dell'esecuzione della prima violazione, a cui si aggiunge l'elemento volitivo necessario per l'attuazione del programma medesimo".
Nè "l'unicita? del disegno criminoso puo? essere confusa con l'inclinazione a commettere reati". Invero, "la semplice tendenza a delinquere del soggetto, ovvero la presenza di un programma generico di attivita? criminose, espressione di un costume di vita deviante, correlato al bisogno economico, non e? di per se? indicativa della esistenza della identita? di un disegno criminoso, indispensabile per la riduzione ad unita? delle diverse violazioni; e? viceversa necessario che, sin dall'inizio, i singoli reati siano previsti e preordinati quali episodi attuativi di un unico programma delinquenziale" (cfr. Cass. n. 5101/1999; n. 5618/1993; n. 8898/2000).

Da qui l'inammissibilità del ricorso e la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di 3mila euro in favore della Cassa delle ammende.


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