Data: 08/04/2023 08:00:00 - Autore: Angelo Casella

Concetto di giurisdizione

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E' utile premettere una rapida panoramica della dottrina.
Per il Chiovenda, si tratta di attività sostitutiva. Sostitutiva, ovviamente, di quella facente carico al destinatario della norma e che questi ha disatteso. Gli Organi Giurisdizionali tenderebbero ad ottenere un risultato concreto il più possibile prossimo a quello che si sarebbe verificato con l'osservanza spontanea.
Tale definizione appare incompleta, atteso che a molte attività giurisdizionali non è possibile attribuire carattere sostitutivo (v. le sentenze di mero accertamento, di annullamento del matrimonio, ecc.).
Dal canto suo, il Redenti ritiene si tratti di attuazione concreta del comando giuridico, a fronte di una violazione che richiede l'applicazione di sanzioni.
Peraltro, anche qui, la definizione appare insufficiente: nei provvedimenti di mero accertamento non entra in considerazione la violazione del comando. Ed egualmente estranei alla applicazione di sanzioni sono i provvedimenti costitutivi (come l'annullamento di un negozio giuridico o l'azione di rivendicazione contro il possessore in buona fede).
Il Carnelutti vede nella Giurisdizione una attività di pacificazione sociale, essendo finalizzata alla "giusta composizione della lite", atta a eliminare la controversia.
Anche tale definizione peraltro appare inadeguata poichè non sempre, come di esperienza comune, l'Autorità Giudiziaria si trova a dover eliminare una lite.
Noi, alla luce anche del Diritto Costituzionale, semplicemente riteniamo che la Giurisdizione svolga il ruolo, socialmente fondamentale e complementare all'ordinamento giuridico, di imporre, sotto ogni profilo, il rispetto della legalità.
Si tratta di rendere la realtà concreta della vita relazionale conforme ai diritti tutelati.
Anche il Calamandrei si colloca all'incirca su questo stesso orientamento quando afferma che l'A.G. Svolge una "attività di garanzia" finalizzata a conseguire il risultato della osservanza del diritto, nel senso, secondo la formulazione del Liebman, di attività rivolta a rendere concreta ed effettiva la regola giuridica.
Consegue da questa definizione che l'intervento della A.G. presuppone l'esistenza di una violazione di una regola giuridica. Anche semplicemente potenziale, come nella attività di mero accertamento.
Questo schema, si noti, si riscontra altresì quando al Giudice è attribuito il potere di decidere secondo equità (artt. 113 e 114 cpc), egli in effetti utilizza un mezzo di soluzione sostanzialmente normativo: deve ispirarsi al sistema della legalità.
Appare a proposito citare, a questo punto, l'antico adagio: "nihil aliud est actio quam ius persequendi iudicio". L'azione è dunque manifestazione di difesa a seguito della violazione di un diritto. Diritto potestativo alla attuazione della volontà del diritto (art. 24 Cost).
Per completezza, ricordiamo però che qualcuno nega tale corrispondenza fra diritto e azione, citando il caso dell'azione di falso civile, dove all'accertamento non corrisponderebbe alcun diritto. Osserviamo peraltro che sussiste un generico potere del singolo di accertare la legalità, minacciata, nel caso, da false evidenze.

Interesse e legittimazione ad agire

Per proporre un'azione è necessario avere un interesse ad agire (art. 100 cpc) che, unitamente alla legittimazione ad agire, costituisce condizione dell'azione.
La legittimazione ad agire è richiesta sia nelle azioni di accertamento, sia in quelle di condanna e di regola coincide con la titolarità, attiva e passiva, del diritto.
L'interesse ad agire si riconosce allorché la mancanza di un provvedimento giudiziario potrebbe arrecare pregiudizio al titolare del diritto e sussiste quando si verifica una difformità tra la situazione di fatto e quella di diritto.

Il caso concreto

Richiamate queste necessarie premesse teoriche, vediamo ora un caso concreto.
Una "decisione" in Volontaria Giurisdizione del Tribunale di T., che suscita non poche perplessità.
La fattispecie: due giovani decidono di amarsi e di convivere in un costoso appartamento acquistato dal soggetto maschile (con i soldi dell'agiato genitore). Hanno anche due figli. Entrambi lavorano e dispongono quindi di un reddito idoneo alla sopravvivenza.
Dopo un certo tempo, l'uomo matura la tardiva consapevolezza che con quella compagna, pesantemente affetta da patologia psichica narcisistico-dominante, è possibile solo un rapporto soffocante e deprimente. Egli decide quindi di allontanarsi in una fuga salvifica, lasciando l'uso della abitazione alla compagna.
Quest'ultima, vedendo minacciato un roseo futuro di agi e di gratificante prestigio personale, si inferocisce e, approfittando del proprio ascendente e della soggezione psicologica imposta al compagno, lo costringe a firmare un documento per disciplinare i reciproci rapporti e, con ricorso in Volontaria Giurisdizione, ne ottiene dal locale Tribunale, la validazione ufficiale.
L'analisi di tale atto giudiziario lascia peraltro sconcertati ed evidenzia una forte anomalia nell'esercizio della Volontaria Giurisdizione da parte di quel Tribunale. Oggetto della "decisione" infatti non è un "accordo" che regoli le rispettive esigenze, bensì un atto unilaterale contenente un elenco quasi paradossale di acquisizioni economiche e di obblighi e costrizioni a carico solo dell' uomo ed a favore dell'ex compagna.
A parte l'inedita acquisizione del costoso appartamento da 800 mila euro (con obbligo altresì del pagamento delle del mutuo in essere), la pretenziosa ex impone allo smarrito compagno tutte le spese di mantenimento dei figli (largamente computate in 1500 euro mensili: cifra con cui vivono intere famiglie) ed ogni esborso connesso, compresi costi scolastici, sanitari e voluttuari. Figli che, peraltro, devono rimanere con lei. All'ex compagno è addirittura fatto obbligo di occuparsi ogni giorno dei bisogni del cane, delle connesse spese veterinarie, e di altre mansioni marginali. E' perfino previsto l'uso della casa vacanze di lui.
Questo complesso di soperchierie è facilmente riconducibile ad una totale assenza di capacità di autotutela dell'uomo e ad una evidente condizione di patologia psichica della donna.
Pur trattandosi di Volontaria Giurisdizione, che è carente di adeguata regolamentazione, siamo per sempre nel campo della Giurisdizione della quale non possono comunque essere ignorati i principi fondamentali.
Innanzitutto, non esiste tra i soggetti di cui sopra alcun rapporto giuridico regolamentato. Si tratta di una semplice relazione sociale non formalizzata e nella quale è riconoscibile solo un legame affettivo non atto a far sorgere diritti soggettivi.
In tale situazione di assenza di diritti soggettivi, non emerge alcuna legittimazione ad agire. Appare altresì assente qualsiasi interesse ad agire, non potendosi configurare difformità di sorta tra situazione di fatto e di diritto.
Ma soprattutto sconcertante che manchi da parte del Tribunale anche una minima analisi del contenuto del testo ufficializzato. E' pur evidente l'anomalia della costituzione a carico di un soggetto giuridico integro di un soffocante complesso di obblighi iniqui e la contestuale attribuzione di straordinari vantaggi economici e di privilegi di ogni genere a favore della ex compagna, senza il sostegno di alcuna ragione pratica concreta.
Parimenti palese la presenza di una situazione patologica non idonea alla costituzione di relazioni normali e tale, anzi, da richiedere una perizia psichiatrica.
Non appare assolutamente corretto che il Magistrato avalli e sancisca ciecamente un testo che pone in essere un rapporto giuridico costitutivo, senza alcun fondamento che lo giustifichi, di obblighi penalizzanti e addirittura punitivi.
La funzione giurisdizionale, anche nella particolare veste della Volontaria Giurisdizione non può in alcun modo essere utilizzata per realizzare soperchierie, sopraffazioni e situazioni di iniquità sostanziale.
Secondo la dottrina prevalente la V.G. è diretta a tutelare un interesse privato. Definizione accettabile, sempre nell'intesa che trattisi di interessi legittimi. E non è questo il caso.
Lo scopo supremo della tutela della legalità deve rimanere il faro di riferimento della attività del Giudice.
Sul piano sostanziale, il preteso "accordo" è nullo sotto ogni profilo. Quindi revocabile la conforme "decisione" del Tribunale.

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