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Data: 13/04/2023 06:00:00 - Autore: Andrea CaglieroL'istituto della messa alla prova[Torna su] Sinteticamente, come è noto, l'art. 168 bis c.p., introdotto con la Legge 67/2014 e recentemente riformato dal D.Lgs. 150/2022 (cd riforma Cartabia), disciplina un istituto mutuato dal procedimento minorile, prevedendo che per i reati puniti con la sola pena editalle pecuniaria o con la pena editalle detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell'art.550 del codice di procedura penale, l'imputato, anche su proposta del pubblico ministero, può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. L'esito positivo della prova - che può essere concessa una sola volta - comporta l'estinzione del reato. L'imputato, quindi, rinuncia alla decisione nel merito della propria posizione, ma, sottoponendosi ad un programma trattamentale, stabilito di concerto con l'UEPE, può agevolmente evitare il rischio di una condanna. L'accesso al procedimento speciale è subordinato ad una serie di condizioni, tra cui spiccano la cornice edittale dell'illecito contestato e l'essersi adoperato per l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivante dal reato ovvero, dove possibile, il risarcimento del danno. Vai alla nostra guida sulla Messa alla prova Il contrasto giurisprudenziale[Torna su] Alle Sezioni Unite era stato demandato il compito di dirimere il contrasto giurisprudenziale in tema di legittimità ad impugnare da parte del Procuratore Generale, in particolare è stato chiesto se: "se il procuratore generale sia legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, l'ordinanza che ammette l'imputato alla messa alla prova ai sensi dell'art. 464-bis cod. proc. pen. nonché, e, in caso affermativo, per quali motivi, la sentenza di estinzione del reato pronunciata ai sensi dell'art. 464-septies cod. proc. pen.». Tuttavia, con memoria ex art. 611 c.1 c.p.p., la Procura Generale illustrava altresì le ragioni per le quali l'istituto della messa alla prova dovesse ritenersi inapplicabile agli enti. La decisione delle Sezioni Unite[Torna su] Il Consesso (con la sentenza n. 14840/2023 sotto allegata) ha risposto affermativamente al quesito: "Il procuratore generale è legittimato, ai sensi dell'art. 464-quater, comma 7, c.p.p., ad impugnare l'ordinanza di ammissione alla prova (art. 464-bis, c.p.p.) ritualmente comunicatagli ai sensi dell'art. 128 c.p.p. In conformità a quanto previsto dall'art. 586 c.p.p., in caso di omessa comunicazione dell'ordinanza è legittimato ad impugnare quest'ultima insieme con la sentenza al fine di dedurre anche motivi attinenti ai presupposti di ammissione alla prova." La Corte, tuttavia, non si è limitata a rispondere al quesito, ma ha affrontato anche la questione, sollevata dal P.G. con la sua memoria, inerente all'applicabilità della m.a.p. anche agli enti chiamati a rispondere ai sensi del D.Lgs 231/2001. Qui di seguito si compendiano i passaggi più significativi. Viene dato atto dell'applicazione per via analogica della messa alla prova da parte di alcune ordinanze di merito, così come della presenza di altre negative, che di fatto hanno determinato l'insorgenza di un contrasto in materia. Sul tema, le SS. UU. hanno rilevato che le norme relative alla messa alla prova non contengono riferimenti agli "enti" quali possibili destinatari dell'istituto; invero, di esso non v'è traccia neanche all'interno del D.Lgs 231/2001, che disciplina direttamente la responsabilità delle persone giuridiche per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato e, per quanto non espressamente disciplinato, fa richiamo solo alla disposizioni del codice di procedura penale nonché a quelle relative all'imputato, purché compatibili. Le ordinanze che si sono espressamente negativamente hanno offerto argomentazioni diversificate:
Le ordinanze che, invece, ne hanno riconosciuto l'applicabilità e compatibilità con il D.Lgs 231/2001 sottolineano che:
Le Sezioni Unite pervengono ad un giudizio di inammissibilità della messa alla prova a favore degli enti perseguiti ai sensi del D.Lgs 231/2001. Il Supremo Giudice prende le mosse da alcune pronunce di legittimità e costituzionali che si sono avvicendate nell'interpretazione degli istituti in parola. In particolare, per quel che concerne la natura amministrativa della responsabilità da reato, viene rimarcato come: per superare il principio "societas delinquere et puniri non potest", è stato introdotto uno specifico ed innovativo sistema punitivo per gli enti, fuoriuscente dagli schemi tradizionali del diritto penale, dotato di apposite regole;la natura della responsabilità degli enti è pacificamente riconosciuta quale tertium genus (v. SS. UU., 38343/2014, Sentenza Espenhahn) impostazione che, tra l'altro, è stata privilegiata dal legislatore. Come, da una parte, va doverosamente ribadita la natura di tertium genus della responsabilità dell'ente, parimenti, dall'altra, la messa alla prova deve inquadrarsi nell'ambito di un trattamento sanzionatorio penale, viste la sua natura, processuale e sostanziale, e le sue finalità rieducative, confermate più volte, anche dalla Corte Costituzionale. Non può corre in soccorso l'estesione per interpretazione analogica. Essa non è prevista in campo penale: entra in contrasto con il principio di tassatività e rischia di trasformare, di volta in volta, l'inteprete della legge in un sorta di legislatore, con grave pregiudizio per la certezza del diritto. Nemmeno si può cercare ausilio nell'interpretazione in bonam parte, trovandosi di fronte a due sistemi disomogenei, proprio per via delle reciproche nature. |
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