Data: 30/04/2023 08:00:00 - Autore: Stefano Gallandt

Le diverse fattispecie di reato ex art. 5, comma 8 bis, d.lgs. 286/98

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Ai fini della corretta comprensione dell'iter logico-giuridico sotteso alle due recenti ed innovative sentenze assolutorie del Tribunale di Prato (la n. 302/2022, dep. il 18.10.2022, irrevocabile a far data dal 5.2.2023), e del Tribunale di Lecco (n. 871/2022, dep. il 28.12.2022, irrevocabile in data 20.2.2023, sotto allegata), conviene, dapprima, addentrarci in un breve excursus in ordine alla prescrizione di cui all'art. 5, comma 8 bis, del d.lgs. 286/98, la quale recita testualmente: "Chiunque contraffà o altera un visto di ingresso o reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno, ovvero contraffà o altera documenti al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno oppure utilizza uno di tali documenti contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso la reclusione è da tre a dieci anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale".

La formulazione della suestesa norma incriminatrice e la sua collocazione nell'ambito del d.lgs. 286/98 (Testo Unico sull'Immigrazione) lumeggiano, sin dal principio, la natura "ibrida" del reato in questione, giacché riconducibile sia alla categoria dei delitti di falso, posti a presidio del bene giuridico della fede pubblica, che al novero dei reati in materia di immigrazione clandestina, codificati a tutela di beni eterogenei ed al contempo connessi tra loro, quali la regolarità degli ingressi e la sicurezza pubblica.

In dottrina, inoltre si è considerato all'unisono, che il disposto in commento punisce più condotte, che si differenziano tra di loro non solo dal punto di vista dell'elemento soggettivo, ma anche sotto il profilo dell'offensività, in quanto l'anzidetta norma contempla le quattro seguenti fattispecie:

  • A. L'attività di falsificazione (materiale) di un visto d'ingresso, di reingresso o di un titolo di soggiorno, ritenuta mono-offensiva, rispetto al bene giuridico della fede pubblica, e punibile a titolo di dolo generico;
  • B. L'attività ("a monte") di contraffazione od alterazione di documenti al fine di determinare il rilascio dei titoli di cui sopra, mono-offensiva, secondo alcuni autori, e plurioffensiva. secondo la più parte della dottrina (in relazione, cioè, all'ulteriore bene giuridico della regolarità degli ingressi), nonché punibile, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, a titolo di dolo specifico;
  • C. La condotta di utilizzo di un visto d'ingresso, di reingresso o di un titolo di soggiorno contraffatto o alterato, reputata plurioffensiva, poiché lesiva dei beni giuridici della fede pubblica e della regolarità degli ingressi e, secondo l'orientamento prevalente in dottrina, punibile a titolo di dolo specifico, da ravvisarsi nello scopo di entrare illegalmente nel territorio nazionale o di permanervi clandestinamente;
  • D. La condotta ("a valle") di utilizzo di documenti contraffatti od alterati al fine di determinare il rilascio di uno dei titoli tassativamente indicati dal Legislatore, ritenuta plurioffensiva, in quanto lesiva dei beni giuridici della fede pubblica e della regolarità degli ingressi, e punibile a titolo di dolo specifico, da ravvisarsi nella finalità di indurre la P.A. ad adottare uno dei predetti provvedimenti.

Le innovative sentenze di assoluzione dei tribunali di Prato e di Lecco

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Recentemente, la fattispecie di cui alla lettera D) del paragrafo che precede è stata sottoposta, quasi contestualmente, all'esame dei Tribunali di Prato e di Lecco, i quali, con le rispettive sentenze n. 302/2022 del 18 ottobre 2022 (irrevocabile a far data dal 5.2.2023), e n. 871/2022 del 28 dicembre 2022 (munita dell'attestazione di irrevocabilità in data 20.2.2023), hanno finalmente riconosciuto l'estraneità al perimetro d'applicazione delle diverse fattispecie di reato di cui all'art. 5, comma 8 bis, del d.lgs. 286/98 della condotta di utilizzo di false dichiarazioni di ospitalità, allorquando questa debba ritenersi volta al riconoscimento della protezione internazionale (il quale determina per lo straniero il diritto al rilascio di un permesso di soggiorno).

Sin da subito, giova segnalare al lettore che i principi declamati con i due provvedimenti in commento debbono, pacificamente, reputarsi applicabili anche alla diversa condotta di cui alla lettera B) del precedente paragrafo, concernente l'attività, c.d. "a monte", di contraffazione od alterazione di documenti al fine di determinare il rilascio dei titoli indicati dalla norma incriminatrice, allorché la falsificazione abbia ad oggetto dichiarazioni c.d. di ospitalità destinate ad essere allegate ad istanze di protezione internazionale.

Ebbene, la rilevanza storica e il notevole impatto sociale delle suindicate sentenze deve necessariamente affermarsi sulla base del seguente ordine di ragioni:

  • A - Per l'assenza di precedenti della S.C. in ordine al rapporto tra le differenti fattispecie di cui al succitato reato e le richieste finalizzate al riconoscimento della protezione internazionale;
  • B - Per la pregressa sequela di sentenze penali di condanna dei Giudici di merito in riferimento alla condotta di utilizzo di false comunicazioni c.d. di ospitalità, ancorché posta in essere nell'ambito della procedura volta al riconoscimento della protezione internazionale;
  • C - Per via dell'anomala prassi delle nostre Questure, volta a condizionare la ricevibilità stessa delle anzidette istanze all'allegazione, da parte dei richiedenti asilo, delle succitate dichiarazioni, le quali, secondo l'infondato assunto del Ministero dell'Interno, sarebbero idonee a certificare la disponibilità da parte degli stranieri di una "stabile sistemazione" nel nostro Paese e, quindi, a radicare la competenza territoriale degli uffici ai fini della formalizzazione delle domande di protezione internazionale.

L'erroneità della predetta tesi - peraltro, valutata a più riprese priva di fondamento giuridico da parte delle Sezioni Specializzate dei Tribunali in materia di immigrazione e protezione internazionale - ha trovato finalmente espresso riconoscimento anche in ambito penale.

Difatti, come acutamente osservato nelle motivazioni della suindicata sentenza resa dal Tribunale di Lecco, "appare evidente che facoltizzare un soggetto a richiedere protezione internazionale non appena costui faccia ingresso nel territorio nazionale sia logicamente incompatibile con la richiesta, rivolta al medesimo e non espressamente prevista dalla disposizione di settore, di allegare all'istanza una dichiarazione di ospitalità che ne attesti il radicamento sul territorio ove è appena giunto" (sentenza del Tribunale di Lecco n. 871/2022 del 28 dicembre 2022).

L'impatto sociale, oltre che giuridico, delle due recenti sentenze che andremo a commentare emerge a luce meridiana, laddove si consideri che l'anzidetta pretesa delle Questure ha determinato, nel corso degli anni, la sopravvenienza di un fenomeno di perdurante sfruttamento, da parte di "mercanti" senza scrupoli, dei richiedenti asilo, i quali, al fine di veder ricevuta e verbalizzata la propria domanda di protezione internazionale, si sono ritrovati costretti, spesso e volentieri, a rivolgersi al c.d. "mercato nero" delle comunicazioni d'ospitalità.

Per giunta, di sovente, ciò ha comportato che il cittadino straniero, da "vittima" della predetta prassi operativa, abbia avuto a ritrovarsi, questa volta nelle vesti di imputato, a dover rispondere del reato di cui all'art. 5, comma 8 bis, del d.lgs. 286/98 (T.U.I.).

L'iter logico argomentativo sotteso ai provvedimenti assolutori

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I Giudici monocratici dei Tribunali di Prato e di Lecco sono pervenuti all'assoluzione dei cittadini stranieri richiedenti asilo, a cui si addebitava l'utilizzo di false dichiarazioni di ospitalità nella procedura volta al riconoscimento della protezione internazionale, sulla base del medesimo iter logico argomentativo.

Per comodità espositiva, perciò, si trascriveranno i soli snodi argomentativi estrapolati dalle motivazioni della sentenzan. 871/2022 del Tribunale di Lecco, resa a definizione di un procedimento penale a carico di due cittadine straniere, provenienti dalla Russia e dalla vicina Georgia, nell'occasione assistite dallo scrivente procuratore.

Onde sancire, nel caso che ci occupa, "l'insussistenza di una condotta tipica avente rilevanza penale", il Tribunale di Lecco, in persona del Giudice Dott.ssa Giulia Barazzetta, ha evidenziato, innanzitutto, che "la richiesta di allegare tale tipologia di dichiarazione all'istanza in esame, pur costituendo prassi operativa degli uffici di Questura, è tuttavia sfornita di una base normativa di rango primario che legittimi tale richiesta, posto che la presentazione di tale documento non è indicata come necessaria dalla legislazione di settore che disciplina le forme e le modalità per richiedere protezione internazionale" (cfr. sentenza del Tribunale di Lecco n. 871/2022).

Il Giudice, altresì, ha osservato che "la richiesta di produrre tale documentazione era frutto di una mera prassi ma non avrebbe in alcun modo inciso sulla valutazione della sussistenza o meno dei requisiti formali e sostanziali previsti dalla disciplina di settore per l'accoglimento dell'istanza avanzata. (Omissis) Come noto, l'art. 5 comma 8 bis del d.lgs. n. 286/1998 sanziona, per quanto qui di interesse, le "sole condotte di falsificazione materiale, consistenti in contraffazioni o alterazioni di documenti relativi alla richiesta" (Cass., Sez. I, 21/10/2021 n. 42441). (Omissis) Risulta evidente che, affinché il documento falsificato possa assumere rilievo (…) è necessario che si configuri come relativo alla richiesta, condizione che deve essere esclusa nel caso di specie alla luce delle considerazioni sopra svolte. E infatti il rapporto di pertinenza tra il documento e la richiesta non può che trovare la sua fonte nella legge o in atti aventi forza di legge. (Omissis) Pertanto, considerato che la dichiarazione di ospitalità non assurge al rango di documento di cui all'art. 142/2015 e la sua falsità materiale può, al più, essere ricondotta entro l'alveo dell'abrogato art. 485 c.p., deve concludersi per l'insussistenza del reato contestato sotto il profilo oggettivo per difetto di tipicità della condotta" (cfr. sentenza del Tribunale di Lecco n. 871/2022).

La correttezza delle statuizioni alla luce del principio di offensività

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E' presumibile che la pregressa sequela di sentenze di condanna, cui accennavamo nell'ambito del secondo paragrafo del presente articolo, dovesse imputarsi (anche) all'arcaica concezione della comune natura mono-offensiva del complessivo novero dei delitti in materia di falso, al quale si riconduceva tout court il reato di cui all'art. 5, comma 8 bis, d.lgs. 286/98.

La differenziazione delle fattispecie p. e p. dalla norma incriminatrice in questione ha, invece, consentito l'emersione della plurioffensività delle condotte di falsificazione, ovvero di utilizzo di documenti contraffatti od alterati al fine di determinare il rilascio dei titoli ivi indicati.

La predetta natura plurioffensiva delle fattispecie valutate dalle sentenze esaminate in precedenza deve ritenersi, altresì, strettamente correlata alla punibilità delle stesse a titolo di dolo specifico, in quanto, raffrontandone la disciplina con analoghe condotte p. e p. dal codice penale, si rende manifesto che l'evento perseguito mediante l'utilizzo di documenti falsi incide in misura saliente non solo sulla misura della sanzione, bensì, anche sul disvaloredelle medesime.

Infatti, si ritiene in dottrina che l'art. 5, comma 8 bis, d.lgs. 286/98, in riferimento all'utilizzo di documenti contraffatti od alterati, sanzioni una fattispecie a dolo specifico di offesa, ma a condotta base neutra.

Si è osservato, in proposito, come "i delitti a dolo specifico, ma a condotta base neutra rappresentano una vera e propria "prova di resistenza" del diritto penale del fatto. In tali casi l'iniuria è esclusivamente rappresentata dal perseguimento di una finalità illecita, la quale accede a condotte-base astrattamente lecite. Non a caso, tali fattispecie sono altrimenti conosciute come delitti a dolo specifico di offesa" (in Il 'Filo di Arianna'. Dolo specifico e pericolo nel diritto penale della sicurezza, di Giuseppe Marino, rinvenibile sul sito www.penalecontemporaneo.it).

E, difatti, con specifico riguardo al disposto di cui all'art. 5, comma 8 bis, d.lgs. 286/98, emerge a luce meridiana che proprio la finalità di determinare il rilascio di uno dei titoli ivi indicati determini la rilevanza penale dell'attività di utilizzo di documenti contraffatti od alterati che debbano ricondursi al genus delle scritture private - quali, per quanto è qui di interesse, le dichiarazioni di ospitalità -, posto che, laddove si accertasse, in capo all'agente, il difetto del dolo specifico, la predetta falsità materiale potrebbe, al più, ricondursi entro l'alveo dell'ormai abrogato articolo 485 c.p.

Avuto riguardo, perciò, allo scopo penalmente rilevante tipizzato dal legislatore, deve ritenersi di cristallina evidenza che il disvalore penale dell'anzidetta condotta discenda dalla valutazione per cui la predetta finalità esponga a pericolo un bene giuridico ulteriore rispetto alla pubblica fede, da ravvisarsi nella regolarità degli ingressi (in ossequio al principio di offensività in astratto).

Sennonché, con specifico riferimento alle fattispecie concrete valutate dalle succitate sentenze di assoluzione, dal declamato difetto di un rapporto di pertinenza ex lege tra le dichiarazioni c.d. di ospitalità e la formalizzazione delle richieste di asilo, e dalla ritenuta irrilevanza di siffatta documentazione ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, deve desumersene, sulla base di una relazione di causalità necessaria, la liceità penale, alla luce dell'inadeguatezza della condotta, a suo tempo addebitata agli imputati, rispetto al raggiungimento dello scopotipizzato dal legislatore e, conseguentemente, della sua radicale inidoneità ad esporre a pericolo l'ulteriore bene giuridico della regolarità degli ingressi (in virtù del principio di offensività in concreto).

Sulla base delle superiori considerazioni, pertanto, le statuizioni liberatorie di cui alle succitate sentenze, rese per via dell'insussistenza del fatto tipizzato dal legislatore, dovranno ritenersi corrette anche alla luce del generale principio di offensività.


Stefano Gallandt

Avvocato del Foro di Milano

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