Data: 28/08/2023 05:30:00 - Autore: Angelo Casella

Pensiero unico

La gente non è stupida come molti ritengono. Il problema è che nessuno si sente stimolato a pensare con la propria testa. Ed il motivo è che far ciò significa e comporta assumersi la responsabilità delle proprie azioni e decisioni.

E qui entra in campo una duplice resistenza.

Da una parte, la difficoltà a separarsi dalla massa, interrompendo una rassicurante omologazione.

Dall'altra, l'impronta di un modello mentale dettato dalla tipologia educativa comune e per la quale il genitore si pone come l'interprete della realtà per il pargolo. Una sorta di “insegnante” della vita, così innestando uno schema mentale per il quale esiste una autorevole entità esterna che detta e indica l' interpretazione della realtà. Una posizione spesso cementata da un esagerato flusso affettivo verso il figlio/a, tale da renderla credibile e positiva, anche perchè accompagnata da una totale attenzione ad evitare qualunque forma di responsabilità.

La diffusa (e del tutto spontanea e naturale) tendenza genitoriale a zuzzurellare il piccolo essere, distoglie quest'ultimo dal contatto diretto con la realtà (condizione base per la conoscenza) e genera in lui un modello di approccio di carattere emozionale: la realtà percepita è una sceneggiata gestita dal potere.

Del tutto errato il comportamento genitoriale che matura nel figlio/a la sensazione di essere ammesso a partecipare a una scena gestita dai genitori. Occorre invece che il bambino/a sia favorito e facilitato a realizzare una autonoma e diretta osservazione della realtà oggettiva. Anche il rapporto affettivo dovrebbe essere sostanzialmente neutro: né severe reprimende, né esagerata affettuosità. Necessario è che il piccolo/a acquisisca la sicurezza di poter contare, al bisogno, su un affetto sicuro.

E' evidente che se si inonda il bambino/a di stimoli vari, sorrisi, vocette, giochetti, moine e così via, gli viene inibita la possibilità di rendersi diretto osservatore, di registrare i fenomeni della realtà “vera” e, quindi, di crearsi anche una propria identità. Da un lato. Dall'altro, egli viene in tal modo indirettamente subordinato a una presenza esterna. Quella che gestisce e domina il teatrino, la zuzzurellata.

In altri termini, il teatrino (che per lui è la realtà) è opera di un potere superiore, che ne stabilisce caratteristiche e modalità: oggettivo e soggettivo si sovrappongono e si confondono.

Uno stato di cose che va a creare una sensazione di appartenenza, non di autonomia, che innesca il meccanismo di omologazione, che esclude la formazione del pensiero critico ed autonomo.

Questo schema, che si deposita nella mente come quadro di fondo evolve spesso in una generica propensione alla sottomissione: una convinta disposizione servile verso il potere, economico o politico che sia. Così si creano solo dei perfetti collaboratori.

E questa è la radice di quel certo ordine sociale che ingabbia il nostro Paese.

Incidentalmente, per assonanza di argomento, si deve rilevare come sia assolutamente deviante (ma del tutto conforme al meccanismo di omologazione) la c.d. alternanza scuola/lavoro. La scuola, l'istruzione, ha invece per suo compito essenziale quello di formare cittadini consapevoli e maturi, cioè di formare degli uomini, non degli strumenti per l'industria. Uomini in grado di pensare, non “capitale umano” per il mondo degli affari.

Evidentemente indispensabile, ove si vogliano migliorare le nuove generazioni, adottare un modello educativo del tutto diverso e ben più maturo dell'attuale in grado di stimolare il pensiero autonomo e formare individui consapevoli. Come abbiamo cercato di suggerire con il nostro “Lo Straniero” (ed. Bookness).


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