A ricorrere innanzi al Palazzaccio è un tossicodipendente condannato in appello per rapina aggravata in concorso e porto d'arma. Tra le altre cose, l'uomo lamenta vizio di motivazione in relazione alla contestata aggravante di cui all'art. 628, comma 2, n. 1 cod. pen. relativo al travisamento con mascherina chirurgica anticovid.
Secondo la tesi della difesa, infatti, "la circostanza che la mascherina fosse obbligatoria all'epoca (novembre 2021) suggerisce che lo scopo del non era quello di travisarsi bensì semplicemente quello di non attirare l'attenzione generale, in un periodo in cui transitare in un luogo chiuso col volto scoperto sarebbe risultato inusuale e avrebbe suscitato l'attenzione delle persone circostanti". Depone a favore di ciò, inoltre, il fatto che il ricorrente avesse sul collo vistosissimi tatuaggi che né la mascherina né il berretto sono stati in grado di coprire come invece afferma illogicamente la sentenza impugnata.
Per la S.C., tuttavia, il ricorso è inammissibile su tutti i fronti.
"Si afferma condivisibilmente in giurisprudenza - affermano infatti i giudici - che, in tema di rapina, ricorrono gli estremi dell'aggravante del travisamento, ai sensi dell'art. 628, comma terzo, n. 1), cod. pen., nel caso in cui - come nella fattispecie - l'agente indossi una mascherina, non rilevando, in c:ontrario, che l'uso della stessa sia prescritto dalla normativa di contrasto alla pandemia da Covid-19, atteso che la parziale copertura del volto mediante la mascherina è funzionale al compimento dell'azione delittuosa, rendendo difficoltoso il riconoscimento del responsabile" (cfr. Cass. n. 1712/2021).
Da qui l'inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.