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Data: 09/06/2023 08:00:00 - Autore: Andrea Cagliero![]()
Artt. 64 c.p.p. e 495 c.p.[Torna su] Gli artt. 64 c.p.p. e 495 c.p. sono incostituzionali se le false dichiarazioni dell'indagato/imputato non sono precedute dall'avviso della facolt� di non rispondere. Cos� la Corte Costituzionale con sentenza n. 111 del 5 giugno 2023 (sotto allegata). Nella vicenda, il Tribunale di Firenze, Sezione I Penale, � chiamato a pronunciarsi su un caso di falso. In particolare, l'imputato � accusato del reato ex art. 374 bis c.p. per aver dichiarato a pubblici ufficiali, appartenenti alle Questura di Pisa - in sede di identificazione, elezione di domicilio e nomina del difensore -, di non aver riportato condanne, quando ne aveva gi� subite due passate in giudicato. Il giudicante, previa riqualificazione del fatto nel pi� grave reato di cui all'art. 495 c.p., a seguito di un'attenta analisi, ritiene di sollevare una questione di legittimit� costituzionale del medesimo articolo, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. , nella misura in cui non esclude la punibilit� per i casi di false dichiarazioni - in relazione ai propri precedenti penali ed in generale alle circostanze ex art.21 disp.att.c.p.p. - rese da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facolt� di non rispondere; solleva altres� q.l.c. dell'art.63 comma 3 c.p.p., nella parte in cui non prevede che gli avvisi previsti debbano essere formulati prima di qualsiasi audizione della persona indagata/imputata nell'ambito del procedimento penale. La questione di legittimit� costituzionale[Torna su] Il giudice rimettente fonda le sue questioni sulla base delle seguenti osservazioni. L'art. 64 comma 3 c.p.p. espone l'elenco degli avvisi da fornire alla persona prima dell'interrogatorio, tra cui quello della facolt� di non rispondere alle domande, fatte salve le disposizioni dell'art.66 comma 1 c.p.p.. A sua volta, l'art. 66 c.p.p. � richiamato dal dettame dell'art. 21 disp. att. c.p.p., secondo cui "quando si procede a norma dell'articolo 66 del codice , il giudice o il pubblico ministero invita l'imputato o la persona sottoposta alle indagini a dichiarare se ha un soprannome o uno pseudonimo, se ha beni patrimoniali e quali sono le sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale. Lo invita inoltre a dichiarare se � sottoposto ad altri processi penali, se ha riportato condanne nello Stato o all'estero e, quando ne � il caso, se esercita o ha esercitato uffici o servizi pubblici o servizi di pubblica necessit� e se ricopre o ha ricoperto cariche pubbliche". Muovendo da tali premesse, il giudice a quo richiama giurisprudenza di legittimit� (v. ad es. Cass. Pen., n. 2497/2022; n. 31463/2020; n. 43337/2016) che chiarisce come l'indagato/imputato abbia l'obbligo di rispondere solo alle domande inerenti alla propria identificazione, non anche a quelle relative ai propri precedenti penali, il cui rifiuto non pu� comportare alcuna responsabilit�. Solo laddove decidesse di rispondere e dichiarasse il falso, allora incorrerebbe nella violazione di cui all'art. 495 c.p. Il diritto al silenzio si spiegherebbe con il rischio del pregiudizio (ai fini cautelari o nel merito) che deriverebbe dalle risposte alle domande. Diritto al silenzio che rientra nel pi� ampio diritto di difesa, tutelato dalla Carta fondamentale all'art. 24. Visto tale orientamento nomofilattico, il rimettente dubita della legittimit� costituzionale delle norme in parola; con una pi� adeguata attenzione al diritto al silenzio, si andrebbe a coprire non solo le circostanze attinenti ai fatti di cui la persona � accusata, ma anche a tutte quelle di carattere personale che non riguardino le generalit� in senso stretto (nome, cognome, luogo e data di nascita). La disamina della Consulta[Torna su] La Corte Costituzionale ritiene meritevoli di pregio le doglianze del Tribunale rimettente. La Consulta spiega come il diritto al silenzio sia corollario del diritto di difesa, sancito dall'art.24 Cost. e riconosciuto anche dall'art.14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Richiama diverse pronunce, a partire dalla quella risalente al 1984 n.236, che asseriscono che nel diritto di difesa vi � senza dubbio il rifiuto a rispondere a qualsiasi domanda, tranne che per quelle attinenti all'identificazione personale. Ricorda, poi, la sentenza n. 108/1976, in occasione della quale, per analoghe questioni (all'epoca si faceva riferimento all'art.25 del regio decreto n.602/1931), lo stesso Consesso aveva avuto modo di osservare che "se l'imputato, alla domanda rivoltagli dall'inquirente sui suoi precedenti risponde in modo contrario al vero, egli incorre nelle sanzioni previste dall'art.495 c.p. [...] non � esatto che, a tale domanda, egli sia tenuto a rispondere, essendo certo che pu� rifiutarsi di fornire le notizie, che in proposito gli vengono richieste, senza incorrere in alcuna responsabilit� penale". Se ne deduceva, pertanto, che le uniche domande alle quali era obbligato a rispondere fossero quelle sulle proprie generalit�, dovendosi intedere in tal senso: nome, cognome, data e luogo di nascita. Con la nascita del nuovo codice di procedura penale, la giurisprudenza di legittimit� ha mantenuto il suddetto orientamento anche in relazione alla disposizione prevista dall'art.21 disp.att.c.p.p., non riconoscendo, tuttavia, che l'attinenza con il diritto di difesa delle domande ivi previste. Ne � conseguito che se, da un lato, non v'� obbligo per l'imputato a rispondere, dall'altro, non v'� obbligo per gli inquirenti di avvisare l'interessato della facolt� di astenersi. Il Giudice delle leggi non approva in pieno il predetto ragionamento e ritiene che non vi sia adeguata tutela del diritto di difesa, il quale si traduce non solo nel "non essere costretto a confessarsi colpevole", ma anche a "non deporre contro se stesso". "Tale diritto � necessariamente in gioco allorch� l'autorit� che procede in relazione alla commisione di un reato ponga alla persona sospettata o imputata domande su circostanze che, pur non attenendo direttamente al fatto di reato, posso essere successivamente utilizzate contro di lei [...] e siano comunque suscettibili di avere un impatto sulla condanna o sulla sanzione" Tra le suddette circostanze rientrano certamente quelle indicate dall'art. 21 disp.att.c.p.p. e che non riguardano le mere generalit�. In particolare, per quel che concerne i precedenti penali, si evidenzia che essi talvolta integrano elementi costitutivi di reato (art. 707 c.p.) oppure rilevano ai fini della contestazione della recidiva ovvero essere utilizzati per valutare la pericolosit� sociale del reo e per tutti i fini per i quali i quali � richiesta la loro valutazione, a titolo esemplificativo: la richiesta di applicazione di misure cautelari; la sospensione del procedimento con messa alla prova; la concessione della sospensione condizionale della pena; la riconoscibilit� della particolare tenuit� del fatto; ecc... Poco rileva - contrariamente a quanto osservato dall'Avvocatura dello Stato che sosteneva l'infondatezza delle questioni di legittimit� costituzionale - che il PM possa facilmente ricavare le informazioni sui precedenti penali dall'esame del casellario, perch� trattasi senza dubbio di circostanze potenzialmente pregiudizievoli. Per cui, � alla Pubblica Accusa che grava l'onere di dimostrare la sussistenza di tali circostanze. Ad analoghe conclusioni si pu� pervenire per quanto riguarda tutte le altre domande previste dall'art.21 disp.att.c.p.p., quali le condizioni di vita individuale, familiare e sociale, poich� possono assumere rilievo, durante le indagini e il processo, ad esempio nella valutazione delle esigenze cautelari ovvero nella dosimetria della pena detentiva e pecuniaria. In via di conclusione, la Corte Costituzionale rileva che se, ai fini del diritto sostanziale, sono penalmente rilevanti solo le dichiarazioni false e non il mero silenzio, per quanto riguarda la disciplina processuale non v'� adeguata tutela al diritto a non rispondere; infatti, non � previsto l'esplicito obbligo di avvisare la persona indagata/imputata della facolt� di non rispondere alle domande che non siano strettamente legate alle mere generalit�. Pertanto, ci� che ne deriva � che "la persona interessata non � posta in grado di esercitare consapevolemente il diritto al silenzio, e non � in alcun modo tutelata allorch� tale diritto sia stato violato." Tanto � vero che, nel momento in cui decida di rispondere, eventuali dichiarazioni false possono essere utilizzate nei suoi confronti. La decisione della Corte Costituzionale[Torna su] La Consulta cos� conclude: 1) dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 64 comma 3 c.p.p., nella parte in cui non prevede che gli avvertimenti ivi indicati siano rivolti alla persona sottoposta alle indagini o all'imputato prima che vengano loro richieste le informazioni di cui all'art.21 disp.att.c.p.p.; 2) dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 495 comma 1 c.p., nella parte in cui non esclude la punibilit� della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato che, richiesti di fornire le informazioni indicate all'art. 21 disp.att.c.p.p. senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti di cui all'art. 64 comma 3 c.p.p., abbiano reso false dichiarazioni. |
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