Per la Cassazione, la censura è fondata.
Il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, recante il regolamento sulla determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, prevede, nel testo ratione temporis applicabile, affermano preliminarmente i giudici, che "Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, la liquidazione del compenso è di regola aumentato fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta".
La questione che pone il ricorso è se all'avvocato vada riconosciuto, nel caso (di conciliazione o) di transazione della causa, proseguono dalla S.C., "oltre al compenso per le fasi già svolte, una somma ulteriore fino a un quarto di quanto previsto per la fase decisionale, oppure se all'avvocato spetti un compenso pari a quanto previsto per tale ultima fase, aumentato fino al 25%". Il Tribunale di Bologna, ha scelto la prima strada liquidando, per la transazione raggiunta, un quarto del compenso previsto per la fase decisoria. Ma secondo il Palazzaccio, tale interpretazione non appare condivisibile.
Il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, proseguono "ha introdotto nella determinazione del compenso dell'avvocato un incentivo deflattivo: la conclusione delle liti giudiziali è incentivata con la previsione di un "aumento" del compenso dovuto all'avvocato che raggiunga la "conciliazione giudiziale" o la "transazione" della controversia rispetto a quello altrimenti liquidabile. Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, infatti, è previsto che la liquidazione del compenso è di regola aumentata fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta".
La norma non si limita dunque "a prevedere una voce del compenso, ma fissa anche una liquidazione in aumento rispetto a quella altrimenti liquidabile per la fase decisionale. Se, infatti, non è revocabile in dubbio che la fase decisionale non viene svolta, appare altrettanto certo che ciò consegue all'opera dei difensori, i quali addivengono a una soluzione transattiva della controversia alternativa alla decisione dell'autorità giudiziaria".
Per cui, "la norma regolamentare, interpretata anche alla luce dell'evidente funzione premiale che la connota per l'effetto deflattivo del contenzioso insito nella transazione, esibisce un significato diverso da quello fatto proprio dall'ordinanza impugnata, nel senso che, quando il giudizio venga definito con una transazione e il professionista abbia prestato la sua opera nel raggiungimento dell'accordo, all'avvocato deve essere riconosciuto un ulteriore compenso rispetto a quello spettante per l'attività precedentemente svolta, pari al compenso liquidabile per la fase decisionale, di regola aumentato fino a un quarto".
All'avvocato va quindi liquidato "sia il compenso per la fase decisionale, non svoltasi, sia un aumento fino al 25% di esso, ossia l'intero compenso per la fase decisionale, aumentato fino al 25%. Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, pertanto, all'avvocato, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta, è sempre dovuto il compenso liquidabile per la fase decisionale, che può essere aumentato fino a un quarto" chiariscono dalla S.C.
Anche perché, atteso che "la norma mira ad incentivare le conciliazioni e le transazioni attribuendo ai difensori delle parti, in caso di esito conciliativo della lite, un incremento del compenso, tale finalità verrebbe frustrata se il corrispondente importo fosse costituto da una percentuale di quello che sarebbe spettato qualora si fosse svolta la fase decisionale".
In altri termini, l'interpretazione seguita dal Tribunale di Bologna - secondo cui, nel caso di transazione, l'avvocato avrebbe diritto a vedersi riconosciuto un compenso per una porzione di quanto gli sarebbe spettato per la fase decisionale - per un verso non coglie l'intima ratio incentivante della previsione del decreto ministeriale nè il significato dell'aumento, e per altro verso non considera che spesso l'opera prestata per giungere ad un accordo transattivo impegna il professionista forense ben di più che la predisposizione delle difese conclusive nelle quali essenzialmente si sostanzia l'attività per la fase decisionale.
Non solo. L'interpretazione che la Cassazione ritiene preferibile "non trova ostacolo nella circostanza che con il testo attualmente vigente (con decorrenza dal 23 ottobre 2022) del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 6, conseguente alle modifiche apportate dal D.M. n. 147 del 2022, art. 2, si prevede, espressamente, che 'Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, il compenso per tale attività è determinato nella misura pari a quello previsto per la fase decisionale, aumentato di un quarto, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta'".
Per cui, ricorso accolto, ordinanza cassata e parola al giudice del rinvio.