Data: 09/07/2023 05:00:00 - Autore: Redazione

Compenso avvocato transazione controversia

Laddove la controversia venga definita con una transazione, l'avvocato ha diritto ad un aumento del compenso fino a un quarto. Così la Cassazione, seconda sezione civile, nell'ordinanza n. 17325/2023 (sotto allegata).
Nella vicenda, due avvocati adivano il tribunale di Bologna per ottenere il pagamento dei propri compensi per l'attività di assistenza legale svolta in sede giudiziale e stragiudiziale nei confronti di un assistito.
Riferivano di aver ricevuto l'incarico di assistere l'uomo in sede giudiziale nella causa intentata dal fratello in relazione alla divisione di vari cespiti immobiliari e che, all'esito di una trattativa instaurata fra le parti, assistite dai rispettivi difensori, dopo la prima udienza la controversia era stata transatta mediante un accordo formalizzato con rogito.
L'uomo dal canto suo si costituiva contestando la debenza dei compensi e spiegando domanda riconvenzionale di risarcimento del danno per negligenza degli avvocati.
Il tribunale dava ragione ai professionisti e ingiungeva all'ex cliente il pagamento di quasi 7mila euro disponendo, in particolare, ai fini dell'applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 6, in tema di aumento del compenso per l'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, la liquidazione di un importo pari ad Euro 1.907,75.
Gli avvocati presentavano ricorso per correzione di errore materiale, a fronte dell'errore di calcolo occorso per la liquidazione dell'attività prestata in occasione e ai fini della transazione della causa ma il tribunale rigettava ritenendo non vi fosse alcun errore.
La vicenda approdava quindi in Cassazione, innanzi alla quale i ricorrenti si dolgono della decisione del tribunale che "anziché incrementare, in ragione del raggiungimento di un accordo transattivo grazie all'ausilio degli avvocati, il corrispettivo totale dovuto a questi ultimi di un quarto del compenso liquidabile per la fase decisoria - avrebbe semplicemente riconosciuto una somma ulteriore e separata, pari al 25 per cento dell'importo da liquidarsi nella fase conclusiva del giudizio".

Compenso per transazione aumentato fino a un quarto

Per la Cassazione, la censura è fondata.

Il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, recante il regolamento sulla determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, prevede, nel testo ratione temporis applicabile, affermano preliminarmente i giudici, che "Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, la liquidazione del compenso è di regola aumentato fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta".

La questione che pone il ricorso è se all'avvocato vada riconosciuto, nel caso (di conciliazione o) di transazione della causa, proseguono dalla S.C., "oltre al compenso per le fasi già svolte, una somma ulteriore fino a un quarto di quanto previsto per la fase decisionale, oppure se all'avvocato spetti un compenso pari a quanto previsto per tale ultima fase, aumentato fino al 25%". Il Tribunale di Bologna, ha scelto la prima strada liquidando, per la transazione raggiunta, un quarto del compenso previsto per la fase decisoria. Ma secondo il Palazzaccio, tale interpretazione non appare condivisibile.

Il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, proseguono "ha introdotto nella determinazione del compenso dell'avvocato un incentivo deflattivo: la conclusione delle liti giudiziali è incentivata con la previsione di un "aumento" del compenso dovuto all'avvocato che raggiunga la "conciliazione giudiziale" o la "transazione" della controversia rispetto a quello altrimenti liquidabile. Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, infatti, è previsto che la liquidazione del compenso è di regola aumentata fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta".

La norma non si limita dunque "a prevedere una voce del compenso, ma fissa anche una liquidazione in aumento rispetto a quella altrimenti liquidabile per la fase decisionale. Se, infatti, non è revocabile in dubbio che la fase decisionale non viene svolta, appare altrettanto certo che ciò consegue all'opera dei difensori, i quali addivengono a una soluzione transattiva della controversia alternativa alla decisione dell'autorità giudiziaria".

Per cui, "la norma regolamentare, interpretata anche alla luce dell'evidente funzione premiale che la connota per l'effetto deflattivo del contenzioso insito nella transazione, esibisce un significato diverso da quello fatto proprio dall'ordinanza impugnata, nel senso che, quando il giudizio venga definito con una transazione e il professionista abbia prestato la sua opera nel raggiungimento dell'accordo, all'avvocato deve essere riconosciuto un ulteriore compenso rispetto a quello spettante per l'attività precedentemente svolta, pari al compenso liquidabile per la fase decisionale, di regola aumentato fino a un quarto".

All'avvocato va quindi liquidato "sia il compenso per la fase decisionale, non svoltasi, sia un aumento fino al 25% di esso, ossia l'intero compenso per la fase decisionale, aumentato fino al 25%. Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, pertanto, all'avvocato, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta, è sempre dovuto il compenso liquidabile per la fase decisionale, che può essere aumentato fino a un quarto" chiariscono dalla S.C.

Anche perché, atteso che "la norma mira ad incentivare le conciliazioni e le transazioni attribuendo ai difensori delle parti, in caso di esito conciliativo della lite, un incremento del compenso, tale finalità verrebbe frustrata se il corrispondente importo fosse costituto da una percentuale di quello che sarebbe spettato qualora si fosse svolta la fase decisionale".

In altri termini, l'interpretazione seguita dal Tribunale di Bologna - secondo cui, nel caso di transazione, l'avvocato avrebbe diritto a vedersi riconosciuto un compenso per una porzione di quanto gli sarebbe spettato per la fase decisionale - per un verso non coglie l'intima ratio incentivante della previsione del decreto ministeriale nè il significato dell'aumento, e per altro verso non considera che spesso l'opera prestata per giungere ad un accordo transattivo impegna il professionista forense ben di più che la predisposizione delle difese conclusive nelle quali essenzialmente si sostanzia l'attività per la fase decisionale.

Non solo. L'interpretazione che la Cassazione ritiene preferibile "non trova ostacolo nella circostanza che con il testo attualmente vigente (con decorrenza dal 23 ottobre 2022) del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 6, conseguente alle modifiche apportate dal D.M. n. 147 del 2022, art. 2, si prevede, espressamente, che 'Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, il compenso per tale attività è determinato nella misura pari a quello previsto per la fase decisionale, aumentato di un quarto, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta'".

Per cui, ricorso accolto, ordinanza cassata e parola al giudice del rinvio.


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