L'avvocato deve svolgere la propria attività con lealtà e correttezza non solo nei confronti della parte assistita, ma anche verso i terzi in genere e verso la controparte, giacché il dovere di lealtà e correttezza nell'esercizio della professione è un canone generale dell'agire di ogni avvocato, che mira a tutelare l'affidamento che la collettività ripone nell'avvocato stesso quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività. E' quanto ricorda il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 38/2023 (sotto allegata).
Nella vicenda, a ricorrere al CNF è un legale avverso la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per tre mesi inflitta dal Consiglio Distrettuale di Disciplina del Veneto.
Ma il CNF ritiene che il Consiglio di disciplina abbia coerentemente motivato la sua scelta poiché la valutazione disciplinare è avvenuta non solo in base alle dichiarazioni rese dall'esponente ma anche sulla scorta della documentazione in atti e sulle dichiarazioni rese dall'incolpato. Incolpato, che non ha mai smentito i fatti illustrati nell'esposto ma che li ha rappresentati in un quadro autoassolutorio non condivisibile per il collegio.
Quanto al merito dei fatti contestati, sostiene il CNF, appare con tutta chiarezza la responsabilità circa la violazione dei canoni di cui all'art. 9 C.D.F. L'avvocato, con il suo comportamento, conferma il Consiglio, "ha violato quei principi di lealtà e correttezza posti a base del rapporto con il proprio assistito che deve contraddistinguere l'affidabilità della professione forense innanzi alla collettività" (conf. CNF n. 20/2019- n. 65/2022).
In base a tale principi quindi "appare evidente, come l'incolpato non abbia improntato il rapporto con i clienti ai principi di lealtà e correttezza, ponendo in essere comportamenti che hanno gravemente compromesso l'immagine della classe forense avanti alla collettività. Principi che assicurano responsabilmente la funzione sociale che l'ordinamento attribuisce alla classe forense". Tuttavia, l'assenza di procedimenti disciplinari e il comportamento complessivo tenuto dall'incolpato anche nel corso del procedimento disciplinare, consentono, conclude il CNF, di rimodulare la sanzione, ritenendo congrua la sospensione dall'esercizio della professione per mesi due.