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Data: 22/07/2023 06:00:00 - Autore: Anna Zaccagno
Le novità del TU Sicurezza alla luce della legge 215/2021[Torna su]
La legge 215/2021 introduce alcune novità - in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro - che riguardano i rapporti tra datore di lavoro/dirigente e preposto/preposti. Legge che rivede e prevede - integrando con la lettera b-bis l'art. 18 (Obblighi del datore di lavoro e del dirigente) - di individuare il preposto o i preposti per l'effettuazione delle attività di vigilanza di cui all'art.19 del T.U. 81/08 per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Il D.L. 146/2021 convertito con modificazioni dalla L.215/2021 riforma inoltre la figura stessa del preposto attribuendogli maggiori compiti e responsabilità. La definizione di preposto[Torna su]
La definizione di preposto secondo l'enciclopedia Treccani è la seguente: "Preposto s.m. [part.pass.di preporre, sostantivato come già in lat. Praepositum da cui deriva: v.preposito]. – In generale, spec.in passato, chi ricopre una carica preminente su altri, […] o una funzione direttiva, di sovrintendente, ispettore, sorvegliante e sim." La definizione di preposto secondo il T.U. in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro (art. 2 D.Lgs. n. 81/2008) è invece la seguente: "ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo si intende per preposto, persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa". Il ruolo del preposto coincide, corrisponde generalmente con il ruolo di capo-squadra, capo-reparto, ecc. Nei cantieri edili – settore, l'edilizia, tra quelli ad alto rischio – il preposto di regola coincide con il capo-cantiere. Nell'ambito della sicurezza sui luoghi di lavoro i compiti, le funzioni del preposto rientrano in un ruolo cardine; un ruolo a volte essenziale considerando che collabora, e che affianca il datore di lavoro acquisendo appunto un ruolo di controllore, un ruolo di vigilante durante l'attività di esecuzione dei lavoratori. Ma non si limita a questo, in quanto in capo a tale figura vi è anche un potere di iniziativa; potere che gli permette una certa autonomia finalizzata al potersi attivare autonomamente appunto al fine di attuare e quindi di far rispettare di conseguenza le norme a tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro – così come impone il D.lgs 81/08 - da parte dei lavoratori, assumendo egli stesso, a sua volta, la veste, nell'ambito ovviamente delle proprie funzioni e delle proprie competenze, di garante della sicurezza. Funzione potenziata dalla legge de qua nella parte in cui prevede la possibilità in capo allo stesso - all'interno della già prevista c.d. "sorveglianza attiva" - di attivarsi appunto per fare eventualmente richiesta di interruzione dell'attività lavorativa, in caso di situazioni di pericolo. All'interno del "margine di autonomia" affidatogli, la legge ora pertanto gli riconosce anche il compito di adoperarsi - introducendo la lett. f-bis all'art.19 del t.u. - facendone richiesta appunto, affinché venga interrotta qualsiasi attività da cui potrebbero derivare conseguenze negative per i lavoratori, e per il lavoro in generale. Obbligo, anche quest'ultimo, la cui violazione incontra conseguenze sanzionate penalmente. Il preposto di fatto[Torna su]
Se prima della legge del 2021 n. 215 la figura del preposto era riconosciuta, considerata valida anche solo nella forma "di fatto", non necessitando di una formale investitura; sostenuta e giustificata sulla base della ratio, del principio di "chi fa è ", in virtù del c.d. "criterio dell' effettività" 'avallato' pure dalla giurisprudenza del passato e riconfermato anche con decisioni più recenti, tanto che con sentenza n.17202 dell' aprile 2019 – quindi di poco precedente alla legge di riforma del 2021- la Cassazione pen., sez. IV adeguandosi alla linea prevalente, così si esprime: "il conferimento della qualifica di preposto deve essere attribuita, più che in base a formali qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell'impresa. Con la conseguenza che chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizioni di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni, direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto a norma all'osservanza ed all'attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed il controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori". Andando davvero all'indietro, si riscontra, rispolverando le decisioni della Corte di Cassazione del passato, che già la giurisprudenza precedente al D.lgs n. 626 del 94 attuativo di alcune direttive dell'Unione Europea nel settore della sicurezza sul lavoro – si orientava nella stessa direzione, ovvero "qualificando" il c.d. preposto di fatto. In merito la Suprema Corte pen. sez. IV, n. 48 del 14/01/1970 Rv. 113999 inquadra la questione in esame affermando che " la qualifica e le responsabilità del preposto non competono soltanto ai soggetti forniti di titoli professionali o di formali investiture, ma a chiunque si trovi in una posizione di supremazia sia pure embrionale, tale cioè da porlo in condizioni di dirigere l'attività lavorativa di altri operai soggetti ai suoi ordini" (cfr. tra le varie: Cass. pen., sez.IV, 12/06/2019, n.25836; Sent. n. 1502 del 01/12/2009, dep. 14/01/2010). E ancora la Cass. Penale - con Sent. n. 22246 del 29/05/2014, successiva invece al T.U. 81/08 - ricalca tale posizione radicata e riafferma infatti che "in tema di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori può affermarsi che il principio di effettività, se vale ad elevare a garante colui che di fatto assume e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, non vale a rendere efficace una delega priva dei requisiti di legge; se nonostante tale carenza il delegato verrà chiamato a rispondere del proprio operato sarà in quanto egli ha assunto di fatto i compiti propri del datore, del dirigente o del preposto e non per la esistenza di una delega strutturalmente difforme dal modello normativo". Quindi la delega se imperfetta, resterà pure tale, ma il punto è un altro: resterà tale anche l'operato svolto di chi di fatto svolge i poteri del datore di lavoro e proprio per questo assume una posizione di garanzia (in merito alla posizione di garanzia cfr. Cass.pen. Sez. IV, 16/03/2021 n. 10143). Giurisprudenza ante riforma: problematiche processuali sul preposto "de facto"[Torna su]
La giurisprudenza prima dell'emanazione della legge del 2021 si è trovata e sentita sicuramente "in dovere" di supplire alla evidente lacuna legislativa del T.U.S. in merito alla mancata 'nomina effettiva' del preposto; adottando ed emanando "pronunce guida"per 'orientare le condotte' nel settore tanto importante quanto delicato come è quello della sicurezza sui luoghi di lavoro. La lunga scia di sentenze è avvenuta senza sfumature, omogenea, lineare nell' affermare e riaffermare la sussistenza della validità della figura del preposto "de facto", ovvero di quella figura, come già evidenziato, che svolge funzioni in concreto seppur sprovvista di formale investitura. Figura che "si può ricavare" dallo stesso articolo 299 D.lgs. 81/08 (esercizio di fatto di poteri direttivi) che così recita:"le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, coma 1, lett. B), d) ed e) gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici a ciascuno dei soggetti ivi definiti". Il preposto di fatto però ha dato luogo - prima dell'intervento del 2021 - a consistenti "ostacoli interpretativi", "ostacoli probatori", e cioè ostacoli caratterizzati tutti dalle difficoltà, dalle complicazioni che emergevano - soprattutto in sede processuale - nell'identificare la figura in esame – ovvero il preposto di fatto - e quindi il ruolo attribuitogli , senza una formale investitura, senza una assegnazione 'esplicita'dell'incarico da svolgere. Contrasti, complessità dovuti alla ricostruzione del fatto che avveniva maggiormente, se non esclusivamente sulla base di azioni, condotte – dedotte in prevalenza da prove testimoniali, non sempre calzanti – che avvilivano in realtà il principio della responsabilità personale che caratterizza il diritto penale ex art.27, co.1 della costituzione; uno spreco di energie impiegato per ricostruire appunto – in caso di infortunio – non soltanto il fatto in sé, ma anche e prima di tutto il ruolo dei soggetti coinvolti, al fine di poter ripartire e attribuire le rispettive responsabilità. La riprova di quanto esposto si può rintracciare ripercorrendo le lunghe "linee guida" determinate dalla giurisprudenza, anche di merito, iniziate pure prima della legge 81/08 e continuate in realtà anche successivamente, proprio per la mancata previsione nel T.U.S. di una "identità espressa"del preposto. Problematiche rilevanti al punto da "chiamare in causa" ripetutamente la Suprema Corte per "determinare" la figura de qua all'interno del ruolo che la legge stessa le riconosce e di conseguenza risalire alla condotta attuata dalla stessa per determinarne l'eventuale e conseguente responsabilità in caso di omissione delle misure protettive. La struttura di tali interventi, si nota facilmente, è sempre legata alla difficoltà di individuare la persona in capo alla quale dover addebitare la responsabilità ex lege. Interventi della giurisprudenza quindi finalizzati a colmare la mancanza, la carenza della nomina formale del preposto, che veniva invece dedotta appunto per lo più da "circostanze di fatto" – a differenza di quanto previsto già per il medico competente, che il datore di lavoro è tenuto invece a nominare espressamente; oppure per la designazione degli addetti alle emergenze, ex art.18 del D.lgs, seppur tali obblighi sono delegabili. Per esemplificare si riportano di seguito alcuni casi - tratti da alcune pronunce della lunga scia già enunciata ed evidenziata - della Cassazione in merito alla responsabilità penale del preposto. Con sent. del 10/01/2013, n. 9491, (dep. Il 27/02/2013, RV n., 254403) la IV sez. della Suprema Corte si era immersa nella "ricostruzione dell'organico" all'interno di un cantiere. La vicenda riguardava il caso di un preposto di fatto – capocantiere edile (Cfr. Cass. Pen.sez.4, n. 4340 del 24/11/2015; sez. IV n. 14915 del 19/02/2019) chiamato a rispondere di un infortunio ex art. 589 c.p. (omicidio colposo), come conseguenza della violazione delle norme antinfortunistiche, per cui è previsto un inasprimento di pena rispetto al "reato base". Con la sentenza de qua - indicativa appunto per capire quale era l'appiglio comune ai ricorsi proposti in casi analoghi - i Capitolini rigettavano le motivazioni dell'imputato – preposto di fatto – che si riteneva esonerato, assolto dai compiti e pertanto dalle conseguenti responsabilità addebitategli, visto che non aveva una formale investitura del ruolo di preposto e di conseguenza non aveva poi di fatto impartito ordini "in autonomia" ma semplicemente si era 'limitato'a riferire le indicazione del lavoro da eseguire, al lavoratore vittima dell'infortunio, dategli dal datore di lavoro. Con sent. n. 18090, la IV sez.pen. della Cassazione, il 10/04/2017 – si trovava invece ad esaminare un caso, accertando la responsabilità del datore di lavoro e del preposto di fatto ancora in merito ad un infortunio ex art. 589 c.p. per mancato controllo e quindi difetto di vigilanza nei confronti di un lavoratore, seppur qualificato, che era salito e caduto da un tetto. Anche in questo caso il preposto di fatto, si sentiva sollevato dalla responsabilità dell'infortunio accorso al lavoratore, per non aver vigilato, sulla base delle seguenti "giustificazioni": "non era titolare di alcuna posizione di sovraordinazione gerarchica", e non aveva neanche svolto la formazione adeguata, che il d.lgs. dell' 2008 prevede espressamente all'art. 37, e che pone come obbligo formativo in capo al datore di lavoro nei confronti dei lavoratori, e quindi anche del preposto. Si appellava a tale carenza per evidenziare che i suoi compiti non erano svolti nel pieno delle funzioni che il preposto deve avere, per svolgere adeguatamente il ruolo ex art.19 (Obblighi del preposto) T.U. 81/08, in quanto privo appunto della formazione richiesta espressamente dalle norme richiamate in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. Se della mancata formazione dei lavoratori – tra cui i preposti – ne risponde il datore, obbligato dall'art. 37 del D.lgs. 81/08, essa non può essere però un'esimente di responsabilità per il soggetto che di fatto si presta ad operare. La Corte invero, in merito, approfondisce e incalza sottolineando che "proprio perché non specificamente formato, non avrebbe dovuto" operare. La nomina del preposto alla luce della legge 215/2021[Torna su]
La legge 215 del 2021 prevede - in capo al datore di lavoro/dirigente - quanto segue: "individuare il preposto o i preposti per l'effettuazione delle attività di vigilanza di cui all'art. 19. I contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire l'emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di cui al precedente periodo. Il preposto non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività". Mentre all'art. 26 del T.U. Sicurezza, con il comma 8 bis, introdotto dalla legge in oggetto, prevede invece che: "Nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto i datori di lavoro appaltatori e subappaltatori devono indicare espressamente al datore di lavoro committente il personale che svolge la funzione di preposto". Sicuramente l'obbligo impartito dalla nuova normativa di 'individuare 'il preposto all'interno della compagine aziendale pone fine alle problematiche circa l'individuazione stessa di tale importante figura, soprattutto come riscontrato sul piano processuale, non dovendosi ancora percorrere strade incerte e tortuose attraverso l'utilizzo soprattutto di prove poco "probatorie" per avere un quadro chiaro e convincente, ed individuare anteriormente al fatto, la "figura attiva"dello stesso.
Conclusioni[Torna su]
Prima di concludere non si può non notare e segnalare la distinzione che ha voluto fare il legislatore nei casi di contratto di appalto o subappalto. Sicuramente le "relazioni" dei vari organici aziendali in caso di appalto e subappalto sono più complesse, ed è intuibile infatti il perché della soluzione prevista dal legislatore di obbligare i datori di lavoro appaltatori e subappaltatori ad "indicare espressamente al datore di lavoro committente il personale che svolge la funzione di preposto". Ma per evitare eventuali esitazioni, dubbi ed insicurezze concettuali che conducono poi a volteggi interpretativi, poteva chiudersi il problema dell' "identificazione" stessa del preposto senza distinzione alcuna. Per questa distinzione, almeno per il momento, forse è andata persa l'occasione di una chiarezza totale ed assoluta in merito, per evitare ancora che la giurisprudenza torni ripetutamente a supplire la norma con l'interpretazione della stessa. Perché, traslando ed applicando l'antico brocardo: "in claris non fit interpretatio". Ma si può concludere comunque, ora, che non sarà di certo questa "distinzione poco chiara" a generare nostalgia del precedente "sistema del preposto di fatto"che è stato di fatto esplicato sostanzialmente dalla giurisprudenza più che dai fatti stessi; e che come già ricordato in premessa ha forse mortificato il principio della responsabilità personale del diritto penale; responsabilità che in tema di sicurezza è concorrente, ripartita tra tutti i soggetti posti a garanzia della salute e sicurezza dei lavoratori e che a maggior ragione, quando è concorrente, la responsabilità va accertata per una ripartizione della stessa senza equivoco, senza dubbio alcuno, per non ledere il principio di legalità in generale.
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