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Data: 22/11/2023 07:00:00 - Autore: United Lawyers for Freedom – ALI Avvocati Liberi
Con sentenza del 24.10.2023 (sotto allegata), il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha dato ragione ad un minorenne vittima delle restrizioni abnormi derivanti dall'ordinanza contingibile e urgente del Presidente della Regione Siciliana n. 16 del 11.4.2020.
Il ricorso del minorenne aveva ad oggetto l'annullamento della suddetta ordinanza del Presidente della Regione Siciliana, nella parte in cui "vietava ogni attività motoria all'aperto, anche in forma individuale, ivi inclusa quella dei minori accompagnati dai genitori". L'ordinanza, "inibendo ai minori ogni spostamento al di fuori dalla propria abitazione … imponeva di fatto al minore ricorrente una permanenza domiciliare assoluta". I genitori, nell'interesse del minorenne, ricorrevano per l'annullamento dell'ordinanza e per il risarcimento del danno.
La parte ricorrente lamentava che il contenuto dell'impugnata ordinanza risultava più restrittiva del DPCM del 10.4.2023 emesso dal Governo Statale che, invece, consentiva a tutti, e perciò anche ai minori, lo svolgimento di attività sportiva e motoria quantomeno nei pressi dell'abitazione, alla sola condizione del mantenimento della distanza di sicurezza di un metro da ogni altra persona.
Il CGA siciliano, nell'accogliere il ricorso ha, innanzitutto, bacchettato il giudice di prime cure il quale - dopo aver dato ragione alla Presidenza Regionale nella fase cautelare - con sentenza semplificata, resa nella fase del merito, aveva "dichiarato il ricorso improcedibile, sul rilievo che, nelle more del giudizio, fosse scaduto il termine di efficacia dell'ordinanza impugnata e da ciò deducendo che il ricorrente non avrebbe più potuto ricavare alcuna utilità dal suo annullamento".
Il CGA ha ribadito che "l'interesse della parte alla pronuncia sul merito del ricorso proposto va considerato persistente anche in caso di cessazione dell'efficacia dell'atto censurato … se sussiste l'interesse ai fini risarcitori"; interesse, quest'ultimo, che deve essere inteso nel senso che esso "non postula alcun onere della parte ricorrente di dimostrare l'effettiva sussistenza dei presupposti per il successivo accoglimento della propria domanda risarcitoria, essendo invece sufficiente che essa si limiti a dedurre di voler introdurre successivamente (ossia entro i termini alternativamente previsti dall'art. 30, comma 5, c.p.a.) una domanda risarcitoria che ex ante non si palesi ictu oculi inammissibile". Circostanza, questa, presente nel caso di specie, perché il ricorrente aveva formulato specifica domanda risarcitoria nel ricorso introduttivo di primo grado.
Il cuore della sentenza si fonda su una considerazione del CGA, secondo cui, fuori dagli ambiti stabiliti dalla normativa emergenziale, "Nessun ulteriore ambito di legittimo intervento sanitario durante la pandemia è stato lasciato alle singole regioni. Né, ovviamente, il fatto storico che alcune di esse si siano comunque appropriate di ambiti ulteriori di intervento – essenzialmente per ragioni "politiche": giacché in quei momenti di panico collettivo generava paradossalmente più consenso il "proibire", piuttosto che non il "consentire", lo svolgimento di qualsiasi attività sociale – può aver reso legittimi tali interventi regionali.".
Il CGA ha ritenuto che la Presidenza della Regione, eccedendo nei propri poteri e competenze abbia emesso un'ordinanza illegittima perché in violazione con l'art. 13 Cost. che sancisce l'inviolabilità della libertà personale e, come tale, "non prevede limitazioni per motivi di sanità", a differenza della libertà di circolazione, ex art. 16 Cost., che può essere compressa, mediante le "limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità" (o di sicurezza)".
Il CGA rileva che la Presidenza della Regione, nelle premesse dell'ordinanza impugnata, indicava oltre ad un generico aumento del numero di contagi sul territorio regionale, anche la precisazione che "sia apprezzabile una diffusione del contagio inferiore rispetto ad altre parti del territorio nazionale"» e "che grazie alle efficaci le misure di contenimento adottate dalla Regione Siciliana per contrastare il diffondersi del contagio, la Sicilia, alla luce dei dati raccolti sull'andamento dell'epidemia sin dalla fine di febbraio, «potrebbe essere la prima Regione italiana a raggiungere l'obiettivo di "zero contagi"»".
Il Collegio decidente ha stabilito che "in tale dichiarato contesto fattuale, nessun aggravamento rispetto alle misure statali avrebbe potuto legittimamente imporre la Regione siciliana – né le varie altre regioni che, in contesti fattuali non dissimili, perseguivano il consenso semplicemente cercando di primeggiare quanto a imposizioni di divieti alla popolazione: più spesso, e come in questo caso, contra legem, che praeter legem – la quale dunque neppure avrebbe potuto applicare …, il divieto di svolgere financo quella "attività sportiva e motoria" che, almeno "nei pressi della propria abitazione", la normativa statale ha sempre continuato a voler garantire".
Infine, Il CGA ha condannato la Regione Siciliana al pagamento, in favore del minore, del risarcimento del "danno non patrimoniale - danno morale, nella specie risarcibile anche ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., quale lesione di diritti di libertà costituzionalmente garantiti"; danno che è stato liquidato in via equitativa, per il combinato disposto degli artt. 2056 e 1226 c.c., in € 200,00 al giorno per ogni giorno in cui è rimasta vigente l'ordinanza illegittima. Le spese di giudizio hanno seguito la soccombenza.
* a cura degli Avvocati Federica Fantauzzo e Raffaele Specchi membri di Avvocati Liberi
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