Data: 09/02/2024 06:00:00 - Autore: Silvia Pascucci

Il mantenimento dei figli in caso di separazione coniugale

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La vicenda in esame prende avvio dalla decisione assunta da due coniugi di procedere alla propria separazione legale. A fronte di tale determinazione, i due adivano il giudice di merito per definire gli aspetti economici della loro relazione post coniugale (sia rispetto ai figli, che reciprocamente tra gli stessi), nonché per disciplinare gli aspetti relativi alla gestione e all'affidamento della prole.

La Corte d'appello territoriale, adita dalla moglie avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Pesaro, aveva riconosciuto la spettanza dell'assegno divorzile all'appellante, ritenendo al contempo adeguato l'assegno che il marito versava mensilmente in favore dei propri figli.

La moglie aveva impugnato tale provvedimento proponendo ricorso dinanzi alla Corte di cassazione.

Il principio di proporzionalità

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Il Giudice di legittimità, con ordinanza n. 2536/2024 (sotto allegata), dopo aver ripercorso i fatti di causa ha esaminato i diversi motivi d'impugnazione proposti dalla ricorrente.

Per quanto qui rileva, la Corte ha ritenuto fondato il motivo di ricorso con cui la moglie evidenziava che, nella quantificazione dell'assegno di mantenimento per i figli, doveva ancora trovare applicazione "il criterio del tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori ed anche il principio di proporzionalità al reddito dei genitori deve guidare anche la ripartizione delle spese straordinarie necessarie per i figli".

Secondo quanto rappresentato da parte ricorrente, spiega la Corte, "la sentenza impugnata non è stata conforme a diritto, avendo la Corte di appello di Ancona quantificato il contributo paterno al mantenimento dei figli senza tenere conto dei parametri normativamente previsti e con malgoverno dei principi di proporzionalità, sia con riferimento al mantenimento ordinario che alla ripartizione delle spese straordinarie tra i genitori".

Posto quanto sopra, la Suprema Corte, descritto il quadro normativo di riferimento, ha evidenziato come, ai fini della determinazione della misura del contributo al mantenimento dei figli, occorra fare riferimento al principio di proporzionalità di cui all'art. 337 ter, comma 4, c.c.

Tale norma, spiega la Corte, introduce il principio secondo cui ciascun genitore è tenuto a provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito. L'assegno periodico con cui il giudice applica tale principio deve pertanto tenere conto, a norma di quanto previsto dalla sopracitata norma: delle attuali esigenze del figlio; del tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; dei tempi di permanenza presso ciascun genitore; delle risorse economiche di entrambi i genitori e della valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

Le due dimensioni dell'obbligo di mantenimento dei figli

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Posto quanto sopra, la Corte ha rappresentato che "l'obbligo di mantenimento dei figli ha due dimensioni. Da una parte vi è il rapporto tra genitori e figlio e da un'altra vi è il rapporto tra genitori obbligati.

Il principio di uguaglianza che accumuna i figli di genitori coniugati ai figli di genitori separati o divorziati (…), impone di tenere a mente che tutti i figli hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni", conformemente a quanto previsto dall'art. 337- ter, comma 4, c.c.

In questo senso, prosegue il Giudice di legittimità "i diritti dei figli di genitori che non vivono insieme (…) non possono essere diversi da quelli dei figli di genitori che stanno ancora insieme, né i genitori possono imporre delle privazioni ai figli per il solo fatto che abbiano deciso di non vivere insieme. Nei rapporti tra genitori vige, poi, il principio di proporzionalità rispetto al reddito di ciascuno".

Tale criterio di proporzionalità, che durante la vita coniugale trova la propria disciplina agli artt. 143, comma 3 e 316 bis, comma 1, del Codice civile, deve essere seguito dal giudice quando "finita la comunione di vita tra i genitori (…) è chiamato a determinare la misura del contributo al mantenimento da porre a carico di uno di essi".

Posto il suddetto quadro normativo di riferimento, la Corte ha ricordato anche la giurisprudenza formatasi in seno alla stessa con cui è stato "più volte evidenziato che, nel quantificare l'ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che, nei rapporti interni tra i genitori, richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi".

Per tali motivi, la Corte ha accolto il suddetto motivo d'impugnazione proposto dalla ricorrente, cassando sul punto da decisione del giudice di secondo grado, rinviando la decisione alla Corte d'appello di Ancona.


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