Data: 24/04/2024 07:00:00 - Autore: Redazione

La quantificazione delle spese di lite non subisce deroghe nel «caso particolare in cui la parte vittoriosa è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato»; infatti anche in tal caso il giudice civile «applica gli ordinari criteri di liquidazione», pure se lo Stato corrisponde al difensore del non abbiente un compenso dimezzato.
È quanto ha affermato la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 64/2024 (sotto allegata), dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull'art. 133, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002.
La sentenza ha precisato che l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato fa sorgere un rapporto che si instaura direttamente tra lo Stato stesso e il difensore del beneficiario del patrocinio.
A tale rapporto «le parti del giudizio rimangono totalmente estranee»: l'applicazione dei normali criteri di liquidazione pertanto non si traduce, per il soccombente, in una «ulteriore effettiva decurtazione» patrimoniale rispetto a quella avrebbe subito ove la controparte non fosse stata indigente.
Ragionando diversamente, del resto, si perverrebbe al risultato di «garantire un ingiustificato vantaggio patrimoniale alla parte soccombente solo perché la controparte rientra fra gli indigenti e lo Stato si fa carico, anche attraverso la fiscalità generale, dell'onere del loro patrocinio».
Sono state in tal modo disattese le censure con le quali il Tribunale di Cagliari sosteneva che, per effetto della disposizione censurata, il soccombente subirebbe un «prelievo coattivo» di natura tributaria.
La sentenza ha altresì escluso la violazione dell'art. 76 Cost. per eccesso di delega. La disposizione censurata non ha, infatti, «carattere realmente innovativo rispetto al quadro normativo previgente»; nella redazione del testo unico, pertanto, il Governo ha rispettato il criterio direttivo del coordinamento formale delle norme oggetto del riordino delegatogli.

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