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Data: 26/04/2024 06:00:00 - Autore: Redazione
È irragionevole negare l'accesso all'edilizia residenziale pubblica a chi, italiano o straniero, al momento della richiesta non sia residente nel territorio della Regione da almeno cinque anni, pur se calcolati nell'arco degli ultimi dieci e maturati eventualmente anche in forma non continuativa. Il requisito della prolungata residenza impedisce di soddisfare il diritto inviolabile all'abitazione, funzionale a che «la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della dignità umana».
È quanto ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 67/2024 (sotto allegata), che ha ritenuto contrastante con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza, previsti dall'art. 3 della Costituzione, l'art. 25, comma 2, lettera a), della legge della Regione Veneto 3 novembre 2017, n. 39.
La Consulta ha precisato che il requisito della residenza prolungata nella Regione non presenta alcuna ragionevole correlazione con il soddisfacimento dell'esigenza abitativa di chi si trova in una situazione di bisogno. Anzi, tale criterio contrasta con la circostanza per cui «proprio chi versa in stato di bisogno si vede più di frequente costretto a trasferirsi da un luogo all'altro spinto dalla ricerca di opportunità di lavoro». Del resto, secondo la Corte, la permanenza per almeno cinque anni nella regione, accertata nell'arco di un decennio, non induce a ritenere che vi sarà un futuro radicamento nel territorio, né serve a valorizzare il tempo dell'attesa nell'accesso al beneficio, esigenza che si può semmai riflettere nell'anzianità di presenza nella graduatoria di assegnazione.
La Corte, pertanto, ravvisa l'adozione di un criterio irragionevole che si traduce nella violazione del principio di eguaglianza formale fra chi può e chi non può vantare una condizione – quella della prolungata residenza nel territorio regionale – del tutto dissociata dal suo stato di bisogno. Secondo i giudici delle leggi, il requisito contrasta anche con il principio di eguaglianza sostanziale, perché tradisce la naturale «destinazione sociale al soddisfacimento paritario del diritto all'abitazione della proprietà pubblica degli immobili» dell'edilizia residenziale pubblica.
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