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Data: 27/04/2024 06:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate
Esercizio abusivo professione[Torna su]
L'esercizio abusivo della professione di avvocato risulta integrato da chi porti avanti pratiche connesse a un contenzioso civile. Il compimento di atti tipici della professione di avvocato da chi si qualifica "avvocato" senza averne titolo, integra infatti il reato di cui all'art. 348 c.p. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 13341/2024 (sotto allegata). Attività stragiudiziale e consulenza: atti non tipici della professione forense[Torna su]
Una donna viene condannata in primo e secondo grado per il reato gli esercizio abusivo della professione, (art. 348 c.p), alla pena di tre mesi e 10 giorni di reclusione. Alla stessa è stato contestato, nello specifico, il compimento di atti tipici della professione forense. Il difensore dell'imputata nel ricorso in Cassazione contesta l'utilizzo da parte dell'imputata dell'appellativo di avvocato, come confermato da un teste della difesa. Per la difesa la consulenza legale e l'assistenza stragiudiziale non rientrerebbero negli atti tipici riservati alla professione perché nel caso di specie non sono ricollegabili all'attività giurisdizionale. L'imputata inoltre ha avuto solo contatti telefonici ed epistolari con i "clienti" e non avrebbe avviato una vera e propria trattativa di recupero del credito. Apparenza oggettiva di un'attività professionale integra reato[Torna su]
La Cassazione però rigetta il ricorso. L'imputata, contrariamente a quanto affermato dalla difesa, ha avuto rapporti diretti con i "clienti" chiamati a testimoniare. Uno di questi ha riferito di essersi recato presso uno studio, che all'esterno presentava un targa. L'imputata inoltre si è qualificata come collega dell'avvocato di controparte, ha avuto diversi incontri con un altro "cliente" a cui si è presentata come avvocato esperto nel recupero dei crediti e lo stesso le avrebbe consegnato diversi fascicoli, ricevendo rassicurazioni sulla pratica. La Cassazione ricorda a questo proposito che: "integra il reato di esercizio abusivo di una professione di cui all'art. 348 cod. pen., li compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un'attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011). Detto reato, viceversa, non risulta integrato con il compimento occasionale di "una attività stragiudiziale, non potendo una prestazione isolata essere sintomatica di un'attività svolta in forma professionale, in modo continuativo, sistematico ed organizzato." Gli Ermellini ricordano che la legge n. 247/2012 all'art. 2 comma 5 stabilisce che: "sono attività esclusive dell'avvocato, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l'assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali." Il successivo comma 6 sancisce invece che "fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l'attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all'attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati." Corrette quindi le conclusioni della Corte di Appello, per la quale "tutte le pratiche di cui era stata incaricata la ricorrente erano connesse o strettamente prodromiche (e dunque "connesse") ad un contenzioso civilistico." Alla luce di queste motivazioni la condotta dell'imputata ha senza dubbio integrato il reato di esercizio abusivo della professione di avvocato. |
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