Data: 17/05/2024 06:00:00 - Autore: Andrea Cagliero

Rapina di "lieve entità"

[Torna su]
Un sentenza importante, quella emessa dalla Consulta (la n. 86/2024 sotto allegata), che risponde ad esigenze di proporzionalità e ragionevolezza nella dosimetria della pena rispetto a fatti inequivocabilmente configuranti la rapina, ma di entità talmente modesta da giustificare un trattamento più mite di quello prospettato dalla cornice edittale di riferimento.

La questione di legittimità costituzionale

[Torna su]
Il Tribunale di Cuneo si ritrovava a dover giudicare sull'imputazione di rapina impropria commessa da due soggetti, rei di aver prelevato dallo scaffale di un supermercato del pane, una scatoletta di tonno e uno spazzolino da denti, e di essersene assicurati il possesso - senza pagare - dopo aver minacciato e spintonato l'addetto della sicurezza.
Il valore della merce superava di poco i 6 €.
Il Giudice osservava come, sia per il valore della merce che per le modalità della condotta, il fatto fosse di una gravità estremamente contenuta, se paragonata al minimo edittale previsto dall'art. 628 c.p.: 5 anni di reclusione per la figura base; 6 anni di reclusione in caso di configurabilità delle aggravanti di cui al terzo comma.
Quindi, impossibile non ravvisare spropozionalità tra la pena prevista e il fatto contestato, nemmeno contenendo il trattamento sanzionatorio con il riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella del danno patrimoniale di speciale tenuità, le cui finalità non sono quelle di correggere l'astratta eccessività della pena.
Sulla base di tali osservazioni, veniva sollevata la q.l.c., sollecitando una pronuncia additiva che riconoscesse l'introduzione di un'attenuante per i casi di lieve entità.

La "valvola di sicurezza"

[Torna su]
La Consulta ricorda come l'art. 628 c.p. abbia subito, in breve tempo, due inasprimenti di pena (nel 2017 e nel 2019), che hanno determinato l'innalzamento del minimo edittale da tre a cinque anni, per la figura base, e da quattro a sei anni, per quella aggravata.
Nell'apporre le modifiche, il legislatore aveva affrontato un ragionamento analogo a quello che ha interessato l'inasprimento della pena del reato di estorsione. Tuttavia, anche esso era stato poi oggetto di una pronuncia del Giudice delle leggi con la sentenza n.120 del 2023, con la quale era stato dichiarato illegittimo «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
In altre parole, evidentemente in risposta alla lacuna del legislatore, è stata apposta la c.d. "valvola di sicurezza" in ausilio al giudice, così dotandolo di uno strumento importante per mitigare la pena quando l'offensività del fatto non meriti la sanzione prevista dall'ordinamento, nemmeno se attestata nel minimo edittale.
"La ratio decidendi della sentenza n. 120 del 2023 vale anche per la rapina, come prospettato dal rimettente", invero, anche nel caso del rapina (come per l'estorsione), la violenza o minaccia può essere di modesta portata e l'utilità perseguita, ovvero il danno cagionato, di valore infimo: "Emblematico appare il caso di cui deve giudicare il rimettente, nel quale la sottrazione è stata relativa a pochi generi di consumo, del prezzo di qualche euro appena, e la violenza o minaccia si è esaurita in frasi scarsamente intimidatorie e in una spinta data per divincolarsi. In simili fattispecie, per la rapina come per l'estorsione, il minimo edittale di notevole asprezza, introdotto per contenere fenomeni criminali seriamente lesivi della persona e del patrimonio, eccede lo scopo, determinando l'irrogazione di una pena irragionevole, sproporzionata e quindi inidonea alla rieducazione".
La Corte ribadisce il concetto per cui un trattamento punitivo sproporzionato, incapace di adeguarsi al concreto disvalore del fatto sia nella sua connotazione soggettiva che oggettiva, pregiudica il principio di individualizzazione della pena, che mira a rendere «quanto più possibile "personale" la responsabilità penale, nella prospettiva segnata dall'art. 27, primo comma» (sentenza n. 7 del 2022). In questo senso, in presenza di una fattispecie astratta assogettata ad un minimo edittale di rilevante entità in relazione alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell'azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell'art. 27 Cost.

Incostituzionale l'art. 628 c.p.

[Torna su]
La Corte costituzionale, dunque, dichiara:
1) l'illegittimità costituzionale dell'art. 628, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità;
2) in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'art. 628, primo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.


Tutte le notizie