Data: 30/05/2024 06:00:00 - Autore: United Lawyers for Freedom – ALI Avvocati Liberi

Consenso informato e principio di autodeterminazione

[Torna su]

Il consenso informato, la cui definizione oggi è stata codificata, è l'atto con cui il paziente e, comunque, il destinatario di un trattamento sanitario, adeguatamente informato, riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto, esprime la propria volontà libera e consapevole di accettare o rifiutare un "trattamento sanitario"; tale dovendosi intendere: "ogni attività diagnostica e terapeutica posta a tutela della salute", ossia volta a prevenire o curare uno stato di malattia e che presuppone che " l'individuo metta a disposizione il proprio corpo" per sottoporlo alla prestazione sanitaria del caso.

Per essere valido, il consenso informato deve essere: personale ed esplicito, ossia espresso direttamente dal soggetto interessato al trattamento sanitario, salvo i casi di incapacità riguardanti i minori e gli infermi di mente; libero, ossia non viziato da pressioni o condizionamenti esterni; consapevole, formato solo dopo che il paziente ha ricevuto, in modo esaustivo ed aggiornato, tutte le informazioni, ivi compreso lo scopo, necessarie per maturare una decisione; specifico e revocabile in ogni momento.

Come in più occasioni precisato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità (Corte cost. Sentenza 438 23.12.2008; Cassazione penale, sez. IV, 16/01/2008, n. 11335), il consenso al trattamento sanitario, costituisce la massima proiezione in campo sanitario del principio di autodeterminazione ed afferisce al diritto alla salute, alla libertà morale del soggetto e alla sua libertà fisica, intesa come diritto al rispetto delle proprie integrità corporee, le quali sono tutte profili della libertà personale, proclamata inviolabile dall'art. 13 della Costituzione.

Quale diritto fondamentale dell'individuo, il consenso informato trova fondamento nell'art. 32 e in altre norme della Carta Costituzionale (artt. 2, 13 e 32), in numerose norme sovranazionali (artt. 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea; art. 24 della Convenzione sui diritti del Fanciullo; art. 5 della Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina; art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali) e nazionali (art. 4 L. 21 ottobre 2005, n. 219; art. 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 il quale prevede che le cure sono di norma volontarie e nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se ciò non è previsto da una legge), e proprio per la natura degli interessi e dei diritti in gioco, costituisce indefettibile presupposto di liceità di qualsivoglia trattamento sanitario (Cassazione penale, sez. IV, 27/11/2013, n. 2347; Corte Costituzionale sentenza n. 14 del 09/02/2023), ivi compreso quello vaccinale; ed è per questo che, per come precisato dal Giudice delle leggi, la relativa conformazione è rimessa alla legislazione statale.

Fino al dicembre 2017, le leggi statali che regolavano il consenso informato apparivano frammentarie e si riferivano a specifiche attività mediche. Tale frammentarietà normativa non ha tuttavia impedito alla giurisprudenza di legittimità, già a partire dagli anni 60', di individuare nel difetto del consenso informato un'autonoma fonte di colpa, quindi di affermare, in presenza di effetti lesivi, la responsabilità del sanitario e della struttura in cui questi ha prestato la propria opera professionale, anche a fronte di un intervento chirurgico o altro trattamento sanitario correttamente eseguito (Corte d'Appello di Milano 18 Aprile 1939; Cass. Civ.Sez. III, 25 luglio 1967, n. 1950; Cassazione civile, sez. III, 24/09/1997, n.9374).

La legge n. 219/2017 e il principio di affidamento incolpevole

[Torna su]

Con la Legge 219/2017, dal titolo "Previsioni in materia di consenso informato e direttive anticipate di trattamento", composta da otto articoli, il Legislatore si è finalmente fatto carico di riconoscere e disciplinare in via generale il processo di acquisizione del consenso informato relativo ai trattamenti sanitari, che, pertanto, assume natura di diritto soggettivo, pieno ed assoluto di ogni individuo.

Con l'art. 1, nel prevedere che "La presente legge, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge", il Legislatore non ha fatto altro che estendere a "ogni trattamento sanitario" quanto già previsto per singole attività mediche, promuovendo "la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità del medico" (art. 2), valorizzando per la prima volta "l'affidamento" che il paziente ripone nel medico, e sulla quale si innesta tanto l'autonomia professionale quanto la relativa responsabilità.

Nel caso dei vaccini, per quanto somministrati mediante personale medico, il consenso alla somministrazione, dunque, al trattamento sanitario, poggia "nell'affidamento" e fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni pubbliche, quindi, a livello nazionale il Ministero della Salute, l'Istituto Superiore di Sanità e l'AIFA, e a livello sovranazionale l'EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) quali organismi investiti del potere-dovere di farmaco e vaccino vigilanza che, come è noto, non si risolve nella sola approvazione e immissione in commercio, ma comprende l'insieme delle attività finalizzate a valutare in maniera continuativa tutte le informazioni relative alla sicurezza dei prodotti medicinali e ad accertare che il rapporto beneficio/rischio (B/R) si mantenga favorevole nel corso del tempo, anche attraverso l'attività di raccolta, valutazione, analisi e comunicazione, comprensione e prevenzione delle reazioni avverse o qualunque altro evento secondario all'assunzione di un medicinale.

Il principio del legittimo affidamento, tutela le situazioni soggettive consolidatesi per effetto di atti dei pubblici poteri idonei a determinare una posizione di vantaggio e a generare un'aspettativa nel loro destinatario.

Il principio in parola, a seguito dei plurimi interventi della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea ha mutato e ampliato la sua fisionomia, trasferendo sui Pubblici Poteri l'onere di sopportare le conseguenze sfavorevoli del proprio comportamento qualora lo stesso abbia ingenerato nel cittadino incolpevole un legittimo affidamento.

Anche nel nostro ordinamento, il principio di tutela dell'affidamento ha acquisito un rilievo primario, tanto da essere proclamato dalla Corte costituzionale come uno dei valori portanti dell'ordinamento, canone essenziale dell'azione amministrativa e principio di vertice del sistema cui deve ispirarsi ogni rapporto tra il privato e i pubblici poteri.

La pronuncia 26.04.2012 della Corte Costituzionale (vedi anche sentente 14 e 15 del 2023), nel sancire l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 comma 1 della Legge 25 febbraio 1992 n. 210, (relativa all'Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati) nella parte in cui non prevedeva il diritto ad un indennizzo in favore di coloro i quali avessero subito danni irreversibili a seguito di vaccinazioni contro il morbillo, la parotite e la rosolia, ha statuito che: "…. in presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore della pratica di vaccinazioni (come quelle nella specie compiute per la vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia, oggi potremmo dire contro il virus anti SARS-CoV2) è naturale che si sviluppi un generale clima di affidamento nei confronti di quanto raccomandato: ciò rende la scelta adesiva dei singoli, al di là delle loro particolari e specifiche motivazioni, di per sé obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell'interesse collettivo….è naturale reputare che tra collettività e individui si stabiliscano vincoli propriamente solidali, sicché, al verificarsi di eventi avversi e di complicanze di tipo permanente a causa di vaccinazioni effettuate nei limiti e secondo le forme di cui alle previste procedure, deve essere, per l'appunto, la collettività ad accollarsi l'onere del pregiudizio individuale piuttosto che non i singoli danneggiati a sopportare il costo del beneficio collettivo".

"In un contesto di irrinunciabile solidarietà -prosegue la Corte- sarebbe, infatti, irragionevole che la collettività possa, tramite gli organi competenti, imporre o anche solo sollecitare comportamenti diretti alla protezione della salute pubblica senza che essa poi non debba reciprocamente rispondere delle conseguenze pregiudizievoli per la salute di coloro che si sono uniformati".

Un primo possibile profilo di colpa per violazione dell'art. 1 della l. n. 219/2017

[Torna su]

A fronte del quadro normativo e giurisprudenziale brevemente passato in rassegna, un primo possibile profilo di "colpa" nel comportamento delle Autorità amministrative, per violazione dell'art. 1 della Legge n. 219/2017, potrebbe ravvisarsi nella inadeguatezza e, comunque, incompletezza delle informazioni fornite ai vaccinati a proposito dello scopo ed efficacia del vaccino anti SARS CoV2, rispetto al quale la stessa Corte Costituzionale ha stabilito che "la previsione di un obbligo di profilassi vaccinale che non specifichi per quale scopo (ovvero per prevenire l'infezione da quale malattia) la somministrazione è pretesa, non può che rendere "indeterminato" il trattamento sanitario imposto, e dunque vanificato quel carattere di precisione che la stessa Assemblea costituente ha inteso imprimere nella riserva di legge ex art. 32 Cost." (sent. n. 25 del 2023).

Per cui, prosegue il Giudice delle leggi, "nel momento in cui si intenda imporre un obbligo vaccinale, la legge non può limitarsi all'indicazione generica della tipologia di trattamento richiesta, ma deve specificare anche le patologie che si intendano contrastare attraverso la profilassi vaccinale"… atteso che "è proprio attraverso l'individuazione del trattamento vaccinale relativo alla patologia da contrastare che la legge può operare il bilanciamento tra libera determinazione individuale e tutela della salute collettiva normato proprio dall'art. 32 Cost."

Ora, mentre un vaccino volto a prevenire il contagio da un virus è progettato per stimolare il sistema immunitario a creare una risposta difensiva contro il virus stesso, impedendo così che il virus entri nel corpo o si diffonda una volta entrato (si pensi al vaccino contro il morbillo); la cura per una malattia virale mira invece a trattare i sintomi della malattia e a ridurre la gravità dell'infezione dopo che una persona è già stata infettata dal virus. Le cure possono includere farmaci antivirali che mirano a bloccare la replicazione del virus nel corpo o a migliorare la risposta immunitaria del paziente. Tuttavia, queste cure non prevengono il contagio e sono utilizzate una volta che la persona è già stata infettata.

Ciò posto, risulta assunto al "notorio", che la campagna vaccinale è stata intrapresa, non già per curare o lenire gli effetti della malattia COVID-19, bensì per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, quindi, per prevenire il contagio dei singoli individui dal virus SARS-CoV2 e contenere l'ulteriore diffusione nella popolazione.

Al comma 457 della Legge 178/2020, infatti, al Ministero della Salute si affida la gestione della campagna di vaccinazione per prevenire le "infezioni da SARS-CoV-2" e "garantire il più efficace contrasto alla diffusione del virus SARS-CoV-2", assegnando una dotazione di 400 milioni di euro per il relativo acquisto e demarcando così la netta la distinzione tra i "vaccini anti SARS-CoV2" (ossia per la prevenzione contagio dal virus) ed i "farmaci" per la cura della COVID-19" nei soggetti già contagiati.

Anche EMA (European Medicines Agency) nel documento del 23.12.2020 dichiarava a chiare lettere che non si ha nessuna notizia sulla capacità dei vaccini di impedire o ridurre la trasmissione del virus, mentre nel Decreto del Ministero della Salute del 02.01.2021 di adozione del "Piano Strategico nazionale", si dichiarava lo "scopo" della campagna vaccinale nella prevenzione e contrasto alla diffusione delle infezioni da SARS-CoV2.

Del resto, per come emerso dalle sedute svoltesi in data 10.10.2022 e 13.10.2022 dinnanzi Commissione Covid-19 istituita presso il Parlamento Europeo, gli stessi esponenti della Casa farmaceutica Pfizer-BioNtech e dell'HERA (Health Emergency Preparedness and Response Authority), hanno chiaramente affermato, non solo che il vaccino non previene la trasmissione del Virus, ma che a questo fine non era stato neppure testato.

Ora, a prescindere dalla diversa questione inerente l'efficacia e la sicurezza o meno dei vaccini (che per la complessità merita una trattazione a parte), una campagna mediatica finalizzata alla persuasione circa l'importanza della vaccinazione al fine di prevenire il contagio e la diffusione del virus, nell'assoluta consapevolezza che il vaccino non aveva, né avrebbe potuto avere, questo scopo, significa acquisire, in violazione dell'art. 1 Legge n. 219 del 22 dicembre 2017, un consenso per un trattamento sanitario diverso da quello per il quale è stato espresso.

Ed infatti, mentre il consenso, in ragione dell'affidamento riposto nelle Istituzioni Pubbliche, è stato espresso per un trattamento sanitario avente ad oggetto la inoculazione di un siero con lo scopo di prevenire il contagio dal virus e la sua ulteriore diffusione, di fatto, è stato invece praticato un trattamento sanitario (mediante inoculazione su soggetto "sano") avente ad oggetto lo scopo di curare gli effetti di una malattia, per l'eventualità in cui la stessa venisse contratta.

Inutile dire, poi, che ad essere diverso, nella scelta del singolo di sottoporsi alla vaccinazione, è, non solo lo scopo individuale, ma anche quello collettivo. Ed infatti, se scopo dichiarato della campagna vaccinale era quello di prevenire la "diffusione del virus" e non già di curare e/o prevenire la malattia COVID-19, è evidente, che anche l'interesse collettivo sotteso alla scelta del singolo di sottoporsi alla vaccinazione, ossia quello di preservare l'altrui stato di salute, deve ab initio considerarsi frustrato a causa della incapacità del vaccino, nota alle Autorità Politiche e Sanitarie e non anche alla popolazione, di prevenire la trasmissione del virus.

Merita, altresì, rilevarsi, che la violazione del consenso informato deve considerarsi ancora più intensa in capo ai medici vaccinatori, poiché essi, a differenza del comune cittadino, possedevano le cognizioni scientifiche per comprendere (al di là della sicurezza o meno degli effetti), che la stessa non valeva a prevenire il contagio.

Un secondo possibile profilo di colpa per violazione dell'art. 1 della l. n. 219/2017

[Torna su]

Un secondo possibile profilo di colpa attiene alla diversa questione dell'adeguatezza e completezza dell'informazione offerta al momento della somministrazione del vaccino (rectius, del farmaco) in base al c.d. modulo nazionale elaborato e diffuso da diverse Autorità Sanitarie, in primis dal Ministero della Salute, con facoltà delle singole regioni e delle stesse ASP di potere integrare e/o modificare il modulo nazionale.

In via di premessa, merita precisarsi che l'adeguatezza e completezza dell'informazione offerta al momento della somministrazione, va valutata e parametrata al singolo caso concreto, poiché non può prescindersi dall'età e dalla storia clinica del singolo soggetto vaccinato, quindi, da una personalizzazione (es. soggetto fragile, donne in gravidanza, bambino, "guariti") relativa anche alla riferibilità a una delle categorie di persone oggetto di sperimentazione.

Fatta la superiore ed imprescindibile premessa, se si considera che il vaccino è un farmaco, la cui prescrizione, così come la valutazione di eventuali controindicazioni, è un atto medico, come tale non delegabile ed esclusivamente riservato, tanto ai sensi del co. 2 dell'art. 1 della Legge 219/17, quanto dell'art. 35 del Codice Deontologico, al medico; e che ogni singola somministrazione costituisce un autonomo trattamento sanitario, sembra in primo luogo irragionevole, quindi, possibile causa di responsabilità, che il Ministero della Salute, da un lato, con circolare Ministeriale del 09/02/2021abbia precisato che la manifestazione del consenso sottoscritto in occasione della somministrazione della prima dose, deve considerarsi valida per tutto il ciclo vaccinale (unico consenso a più trattamenti sanitari); dall'altro, che in sede di predisposizione del modulo ministeriale di consenso informato non sia stato espressamente riservato al "medico" il dovere di informazione e acquisizione del consenso.

Un unico consenso valido per più trattamenti sanitari non è giustificabile, a parere di chi scrive, a fronte di somministrazioni di un farmaco sperimentale da effettuarsi a distanza di tempo, specie ove si consideri che nel nostro paese, specie dopo il ritiro del vaccino Astrazeneca, è stata poi ammessa la vaccinazione eterologa, quindi, la possibilità -per come poi di fatto avvenuto - di completare il ciclo vaccinale utilizzando tipologie di vaccino differenti, con tecnologie diverse.

Considerato che la mera sottoscrizione di un modulo prestampato, se generico, non vale ad esimere da responsabilità in caso di eventi avversi (Cassazione civile, sez. III, 19/09/2019, n. 23328), un ulteriore profilo di colpa incidente sulla effettività del consenso potrebbe ravvisarsi nella genericità e non specificità delle informazioni offerte in sede di somministrazione del vaccino anti COVD-19, poiché il consenso informato al trattamento sanitario, anche per la rilevanza che assume in ordine alla valutazione di eleggibilità del soggetto da sottoporre a vaccinazione, deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, dei rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili terapie alternative.

A parte il linguaggio complesso e poco comprensibile alla massa della popolazione, il modulo ministeriale del consenso informato non fornisce informazioni dettagliate sui potenziali effetti collaterali del vaccino anti COVID19, nulla dicendo sia con riferimento alla natura sia all'incidenza di possibili eventi avversi gravi (circostanza, questa, che induce a ritenere che non vi sia il rischio che possano verificarsi o che questi siano del tutto eccezionali).

Singolare, sembra poi il fatto che nel modulo di consenso venga scritto che: "Negli studi clinici non sono stati osservati decessi correlati alla vaccinazione", e non venga tuttavia precisato, in considerazione della natura sperimentale, che non può escludersi che gli stessi possano verificarsi.

E se la mancata descrizione dell'incidenza degli eventi avversi gravi, in un vaccino che, ad di là di quanto affermato dalla giurisprudenza, anche costituzionale, non può non dirsi sperimentale (anche per l'assoluta novità della tecnica vaccinale cosiddetta a mRNA), rende difficile valutare l'entità del rischio rispetto ai benefici, in nessuna parte del modulo vengono descritte le possibili alternative al vaccino, né in termini di prevenzione (si pensi alle mascherine, all'isolamento o al distanziamento sociale) né in termini di terapie farmacologiche all'epoca già disponibili.

L'inadeguatezza dell'attività di informazione e raccolta del consenso informato, da ultimo, sembra simmetrica all'atteggiamento ondivago tenuto dai Pubblici poteri nel giudizio di legittimità costituzionale definito con la sentenza n. 14/2023 (vedi punto 2.3.1 della pronuncia) ove ha sostenuto che nel caso della vaccinazione anticovid-19: "Ci si troverebbe, infatti, di fronte non a un'ipotesi di consenso informato ex art. 1 della legge n. 219 del 2017, ma a una mera informativa"… "ciò in quanto si potrebbe parlare di consenso solo laddove esso fosse esercitabile, con la conseguente possibilità di rifiutare il trattamento sanitario, circostanza esclusa ex lege nelle ipotesi di vaccinazione obbligatoria".

Ne deriva, in base a quanto sostenuto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che il modulo di consenso informato diffuso dal Ministero della Salute, non solo non andava sottoscritto in ragione dell'obbligatorietà del trattamento, ma addirittura non costituiva un consenso informato ai sensi dell'art. 1 della legge n. 219 del 2017, bensì una mera informativa. A sposare la tesi sostenuta dallo Stato italiano, dunque, la somministrazione del vaccino sarebbe avvenuta in forza di una mera informativa e non già di un consenso informato.

Altra questione di particolare rilievo attiene all'adeguamento dell'attività di raccolta del consenso alle evidenze scientifiche disponibili dopo l'immissione in commercio dei vaccini.

Si tratta dunque di verificare se, dall'avvio della campagna vaccinale - avvenuta il 27 dicembre 2020 - l'attività d'informazione sia stata costantemente aggiornata nel rispetto del dovere di farmaco e vaccino vigilanza, sia in termini di scopo della vaccinazione, sia con riferimento alla natura e incidenza di eventuali eventi avversi.

Sul Ministero della Salute, anche attraverso l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e l'Istituto Superiore di Sanità (ISS), grava un potere-dovere di farmaco e vaccino vigilanza, intesa come attività di controllo sulla sicurezza dei vaccini e dei farmaci al momento della approvazione e immissione in commercio e di monitoraggio continuativo di tutte le informazioni relative alla sicurezza dei prodotti medicinali immessi in commercio la cui inosservanza o violazione configura una responsabilità di natura extracontrattuale, per come ha già avuto modo di stabilire proprio in tema di omessa vigilanza attiva, la giurisprudenza di legittimità, a proposito dei danni da trasfusione di sangue infetto: "L'omissione delle attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l'ordinamento gli attribuisce il potere, espone il Ministero della salute a responsabilità extracontrattuale allorquando dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell'interesse pubblico derivi la violazione di interessi giuridicamente rilevanti dei cittadini-utenti" (Cass. S.U, 11 gennaio 2008, sent. dalla 576 alla 585).

La Consulta sull'obbligo vaccinale e la necessità del "consenso informato"

[Torna su]

Con la sentenza n. 14 del 2023 la Corte Costituzionale, nella parte che qui interessa, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 1 Legge 219/2017 nella parte in cui non prevede l'espressa esclusione dalla sottoscrizione del consenso informato nelle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, e dell'art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui non esclude l'onere di sottoscrizione del consenso informato nel caso di vaccinazione obbligatoria.

La pronuncia del Giudice delle leggi, per l'influenza che avrà sulle decisioni della giurisprudenza di merito e di legittimità, assume particolare importanza nello scenario dei possibili giudizi promossi per il risarcimento dei danni da vaccinazione per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV2 (rectiusCovid-19).

In particolare, con la sentenza n. 14 del 09.02.2023, la Corte Costituzionale ha affrontato due temi fondamentali: il primo, relativo alla legittimità dell'obbligo vaccinale per i sanitari (non per le altre categorie); l'altro, relativo alla obbligatorietà o meno della sottoscrizione del consenso informato al momento della vaccinazione.

Riservandosi di approfondire in altra sede la questione relativa alla legittimità dell'obbligo vaccinale, occorre dire, per i possibili riflessi che il già menzionato tema dispiega sulla in sul consenso informato, che l'affermata legittimità costituzionale dell'obbligo vaccinale poggia sull'assunto che "la decisione di imporre un determinato trattamento sanitario attiene alla sfera della discrezionalità del legislatore, da esercitare in modo "non irragionevole" e "non sproporzionato" alla luce «delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica".

Nel caso della vaccinazione per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, la scelta del Legislatore, afferma il Giudice delle leggi, deve considerarsi, rispetto alla "finalità perseguita", ragionevole e proporzionata in quanto coerente con il dato medico-scientifico della piena efficacia del vaccino e l'idoneità dell'obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus, per come attestato dalle principali autorità medico-scientifico nazionali (Ministero della Salute, AIFA e ISS) ed europee (EMA) "che non possono perciò essere sostituiti con dati provenienti da fonti diverse, ancorché riferibili a "esperti" del settore.

Le conclusioni cui è pervenuta la Corte Costituzionale con riferimento alla obbligatorietà del trattamento sanitario per i sanitari, al di là di alcune evidenti forzature (si pensi alla presunta natura non sperimentale della vaccinazione e all'idoneità a prevenire la circolazione del virus), appare in astratto condivisibile nella misura in cui afferma che la scelta del legislatore non può considerarsi "non irragionevole" e "non sproporzionata" rispetto alla "finalità perseguita", in quanto fondata sulla sicurezza ed efficacia dei vaccini sulla prevenzione e diffusione del virus, per come attestata dagli organi a ciò preposti (Ministero Salute, AIFA e ISS).

Tuttavia, se si pone mente allo scopo dichiarato dalla legge ("prevenzione del contagio del singolo e sua ulteriore diffusione"), e non a quello, diverso, individuato extra legem, di evitare il decorso ingravescente della patologia e di ridurre le ospedalizzazioni, nonché agli innumerevoli eventi avversi manifestatisi a causa della vaccinazione, la "colpa", ovvero la responsabilità, si sposta dal Legislatore alle Autorità Amministrative che, nell'avere attestato la sicurezza e l'idoneità dei vaccini a prevenire la circolazione del virus, di fatto hanno indotto in errore il legislatore, la cui scelta di introduzione dell'obbligo vaccinale è risultata (divenendo da ragionevole in astratto a irragionevole in concreto), in radice viziata, come lo è stato il consenso dei singoli, da dati scientifici non veri, ovvero incerti ma spacciati come certi.

Ed allora, tornando ai profili di colpa per violazione del consenso informato, sembra opportuno richiamare le stesse parole usate dalla Corte Costituzionale, secondo cui, al di là del diritto all'indennizzo, nella specie previsto dalla legge 210/92, che prescinde dalla configurabilità di una colpa, è sempre fatto salvo il rimedio risarcitorio "tutte le volte che le concrete forme di attuazione della legge impositiva di un trattamento sanitario o di esecuzione materiale del detto trattamento non siano accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l'arte, prescrivono in relazione alla sua natura. E fra queste va ricompresa la comunicazione alla persona che vi è assoggettata, o alle persone che sono tenute a prendere decisioni per essa e/o ad assisterla, di adeguate notizie circa i rischi di lesione (o, trattandosi di trattamenti antiepidemiologici, di contagio), nonché delle particolari precauzioni, che, sempre allo stato delle conoscenze scientifiche, siano rispettivamente verificabili e adottabili" (sentenza n. 307 del 22/06/1990).

Del resto, anche la Corte di legittimità, in tempi recenti, nel cassare la sentenza della Corte di Appello di Roma con la quale negato il risarcimento del danno causato dal vaccino antipolio Salk, in base all'assunto che "la pericolosità del vaccino al momento della immissione in commercio non era conosciuta né conoscibile" e che, pertanto il Ministero della salute non poteva essere ritenuto responsabile per i danni derivanti dalla somministrazione di un vaccino che la letteratura scientifica riteneva sicuro, ha affermato che: "Il fatto che un vaccino sia qualificato dalla letteratura scientifica come sicuro non ne esclude il potenziale carattere dannoso: il giudice deve accertare la sussistenza del nesso di causalità tra l'inoculazione del farmaco e i pregiudizi lamentati, tenendo conto non solo delle leggi statistiche, ma anche delle acquisizioni probatorie", atteso che l'attestata non pericolosità del vaccino non basta a rendere non esigibile l'adozione di misure atte a prevenire e minimizzare eventuali danni da esso potenzialmente derivanti (Cassazione civile, sez. III, 18/11/2022, n. 34027).

Quanto alla diversa questione affrontata dalla Corte Costituzionale con riferimento alla obbligatorietà della sottoscrizione del consenso informato nonostante l'obbligo vaccinale e la previsione di sanzioni in caso di inadempimento, per comprendere il senso della decisione adottata sul punto, bisogna prendere le mosse dalle questioni poste dal giudice rimettente, ad avviso del quale: "nel caso di vaccinazione obbligatoria, …il consenso… da un punto di vista letterale, logico e giuridico, dovrebbe essere espresso a valle di una libera autodeterminazione volitiva, inconciliabile con l'adempimento di un obbligo previsto dalla legge".

Nel rigettare la questione di legittimità costituzionale il Giudice delle leggi ha lapidariamente affermato che: «l'obbligatorietà del vaccino lascia comunque al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o sottrarsi all'obbligo, assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge. Qualora, invece, il singolo – continua la sentenza - adempia all'obbligo vaccinale, il consenso, pur a fronte dell'obbligo, è rivolto, proprio nel rispetto dell'intangibilità della persona, ad autorizzare la materiale inoculazione del vaccino».

È evidente la contraddizione in termini di tale assunto.

Posto infatti che il consenso, per essere valido, deve essere libero, e libero può considerarsi solo ciò che non è obbligatorio o comunque condizionato dalla minaccia di sanzioni, l'unica interpretazione possibile dell'enunciato in commento sarebbe che la sottoscrizione del modulo di consenso informato vale solo ad autorizzare la materiale inoculazione del siero, altrimenti non somministrabile con la forza, ma non ad esprimere, in quanto obbligatoria, l'adesione del soggetto alla vaccinazione in sé.

Ed allora, parafrasando il passaggio motivazionale in commento, se lo Stato obbliga, a prescindere da una sua libera autodeterminazione volitiva, un soggetto alla vaccinazione, che autorizza la materiale inoculazione del siero solo per non esporsi alle sanzioni previste per il caso di mancato assolvimento dell'obbligo, o anche solo per ottemperare a una previsione di legge, lo stesso Stato dovrebbe poi assumersi, "responsabilmente", l'onere del ristoro di ogni conseguenza avversa della vaccinazione, non già in termini di mero indennizzo ma di restitutio ad integrum.

Ma nella pratica così non è, atteso che ad oggi, né lo Stato né l'Unione europea intendono farsi carico, attraverso l'istituzione di un apposito fondo alimentato dagli extraprofitti conseguiti dalla Case farmaceutiche, del risarcimento dei danni derivati dalla vaccinazione anti SARS-CoV2.


* A cura dell'Avv. Angelo Farruggia del foro di Agrigento, membro di Avvocati Liberi


Tutte le notizie