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Data: 08/07/2024 06:00:00 - Autore: Redazione
"Le espressioni sconvenienti od offensive non sono scriminate dalla provocazione altrui né dalla reciprocità delle offese".
L'avvocato, ha quindi, "il dovere di comportarsi, in ogni situazione (anche nella dimensione privata e non propriamente nell'espletamento dell'attività forense), con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l'avvocatura svolge nella giurisdizione (art. 5 9 cdf) e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive (art. 52 cdf), la cui rilevanza deontologica non è peraltro esclusa dalla provocazione altrui, né dalla reciprocità delle offese, né dallo stato d'ira o d'agitazione che da questa dovesse derivare, non trovando applicazione in tale sede l'esimente prevista dall'art. 599 c.p.". Così il Consiglio nazionale Forense nella sentenza n. 107/2024, pubblicata sul sito del Codice deontologico e sotto allegata.
Nel caso di specie, l'avvocato si era rivolto alla propria ex moglie con numerosi appellativi offensivi, tra cui "peripatetica", "avida" e "parassita". In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha rigettato il ricorso dell'incolpato avverso la sanzione disciplinare della censura, irrogatagli dal CDD.
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