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Data: 08/07/2024 07:00:00 - Autore: Redazione
"I benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata non possono essere negati in ogni caso ai parenti e agli affini entro il quarto grado di persone sottoposte a misure di prevenzione o indagate per alcune tipologie di reato". Lo ha deciso la Corte costituzionale, con la sentenza n. 122/2024 (sotto allegata), con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2-quinquies, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina), inserito dalla legge di conversione 28 novembre 2008, n. 186, e successivamente modificato dall'art. 2, comma 21, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «parente o affine entro il quarto grado».
La disciplina richiamata nega in ogni caso i benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata a chi sia «coniuge, convivente, parente o affine entro il quarto grado di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento per l'applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, ovvero di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale».
La Corte d'appello di Napoli aveva ritenuto irragionevole e lesiva del diritto di difesa la condizione ostativa assoluta, con esclusivo riguardo alla posizione dei parenti e degli affini fino al quarto grado. Nell'accogliere la questione così sollevata, la Corte costituzionale ha osservato che la condizione ostativa riferita a parenti e affini, nella sua rigidità, travalica la finalità di procedere a una verifica rigorosa dell'estraneità dei beneficiari al contesto criminale. Verifica già imposta, in termini stringenti, dalla disciplina vigente, che richiede la radicale estraneità agli ambienti criminali.
Nell'introdurre una presunzione assoluta, la disposizione censurata non si fonda su una massima d'esperienza attendibile: proprio l'ampiezza del vincolo di parentela e di affinità considerato dalla legge consente di «ipotizzare in modo agevole che, al rapporto di parentela o di affinità fino al quarto grado, possa non corrispondere alcuna contiguità al circuito criminale». Il meccanismo presuntivo si rivela, inoltre, irragionevole, in quanto «pregiudica proprio coloro che si siano dissociati dal contesto familiare e, per tale scelta di vita, abbiano sperimentato l'isolamento e perdite dolorose», e si risolve in «uno stigma per l'appartenenza a un determinato nucleo familiare, anche quando non se ne condividano valori e stili di vita».
La disposizione si pone in contrasto anche con il diritto di azione e di difesa tutelato dall'art. 24 Cost., in quanto impedisce «di dimostrare al soggetto interessato, con tutte le garanzie del giusto processo, di meritare appieno i benefici che lo Stato accorda», in un giudizio «che coinvolge le vite dei singoli e gli stessi valori fondamentali della convivenza civile».
La Corte ha ribadito che è imprescindibile un'attenta valutazione di meritevolezza dei beneficiari. In tale contesto, «i vincoli di parentela o di affinità richiedono un vaglio ancor più incisivo sull'assenza di ogni contatto con ambienti delinquenziali, sulla scelta di recidere i legami con la famiglia di appartenenza, su quell'estraneità che presuppone, in termini più netti e radicali, una condotta di vita incompatibile con le logiche e le gerarchie di valori invalse nel mondo criminale».
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