Data: 12/07/2024 07:00:00 - Autore: Francesco Filippo Tigano

Fisco e chiamato all'eredità

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Mentre il defunto giace beato nel suo eterno riposo, pago di essersi liberato da tutte le sofferenze terrene, il chiamato all'eredità scopre solo adesso tutti i "dolori" della successione. Beffato dal de cuius, è titolare esclusivamente di debiti, da cui il compianto è sfuggito dopo un instancabile inseguimento dell'Agenzia delle entrate, che adesso, invece, esige dal "fortunato" rimasto, per di più in tempi rigorosamente brevi, ciò che per anni non ha potuto e saputo recuperare dal defunto. Il fisco bussa alla porta, il chiamato (rinunciante) all'eredità implora pietà e intanto il de cuius, che può finalmente riposare in pace, sorride beffardamente dalla tomba.

La rinuncia all'eredità

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Nel processo di successione, spesso si ha l'opzione di accettare o rifiutare l'eredità attraverso la rinuncia. Di solito, si diventa eredi volontariamente accettando l'eredità, e gli effetti di questa accettazione risalgono al momento in cui la successione è stata aperta, cioè quello della morte.

La rinuncia all'eredità, invece, è un atto necessariamente formale con cui un individuo sceglie di non accettare l'eredità lasciatagli. Questa deve essere compiuta liberamente, senza restrizioni o limiti, e deve essere fatta a vantaggio di tutti gli altri eredi.

Chi è chiamato all'eredità ha dieci anni, a partire dal momento dell'apertura della successione, per fare la propria scelta. Dopo questo periodo, si perde il diritto di accettare l'eredità.

Un erede potrebbe voler rinunciare all'eredità, ad esempio, se i debiti del defunto superano i suoi crediti. In questo modo, è possibile annullare gli effetti che si sono verificati nei suoi confronti a seguito dell'apertura della successione. Pertanto, nessun creditore del defunto sarà in grado di rivolgersi a lui per il rimborso dei debiti ereditari.

Per rinunciare all'eredità è necessario fare una dichiarazione. Questa dichiarazione deve essere ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del distretto in cui la successione è stata aperta. Questa dichiarazione deve essere registrata nel Registro delle successioni conservato nello stesso tribunale.

Prima che scada il termine per accettare, l'erede può anche rinunciare espressamente all'eredità. Se l'erede è in possesso dei beni ereditari in qualsiasi modo, la rinuncia deve essere espressa entro tre mesi dall'apertura della successione. [1] Inoltre, non può rinunciare l'erede, che ha sottratto o nascosto beni ereditari. La rinuncia non può essere soggetta a termini o condizioni e non può essere parziale. [2] Allo stesso modo, la rinuncia fatta in cambio di un corrispettivo o a favore di alcuni degli eredi implica l'accettazione dell'eredità.

La decisione di rinunciare a un'eredità ha effetto retroattivo, dando l'impressione che l'individuo che ha rinunciato non sia mai stato designato come erede inizialmente.

Con la rinuncia, tuttavia, l'erede non perde definitivamente il diritto di acquistare l'eredità. Infatti, potrà comunque esercitare questo diritto, nel termine di dieci anni, purché gli altri eredi, accettando, non abbiano già preso il suo posto.

Rapporti tra disciplina civile e fiscale

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La responsabilità degli eredi per i debiti fiscali del defunto è disciplinata sia dal diritto fiscale che dal diritto civile, che presentano significative distonie tra loro. La distinzione chiara e fondamentale nel diritto civile tra la definizione di persona chiamata all'eredità e quella di erede è in contrasto con la quasi totale sovrapposizione delle due figure effettuata da alcune disposizioni del diritto fiscale.

Il legislatore fiscale concede, in alcuni casi, all'Amministrazione finanziaria la possibilità di rivolgere la propria pretesa fiscale nei confronti dei semplici chiamati all'eredità, che sono comunque tenuti a rispettare diverse scadenze e a adempiere a determinati obblighi. Questa circostanza non si coordina bene con le norme civili. Infatti, queste norme stabiliscono che solo l'erede, cioè l'individuo che ha accettato l'eredità e ha preso il posto del defunto nei rapporti attivi e passivi, può essere ritenuto responsabile dei debiti del defunto. I lunghi periodi previsti dal diritto civile (come il termine di dieci anni per l'accettazione dell'eredità) sono in contrasto con i termini rigorosi stabiliti dal legislatore fiscale, con l'obiettivo evidente di garantire l'efficacia, l'efficienza e la rapidità di riscossione della pretesa fiscale dell'Amministrazione finanziaria. A questo proposito, si considerino le scadenze stabilite per la presentazione della dichiarazione di successione o per la comunicazione dei dati relativi al domicilio fiscale dei chiamati. Queste discrepanze, unite alla pratica dell'Amministrazione finanziaria di notificare atti fiscali, relativi ai debiti fiscali del defunto, ai chiamati all'eredità, ritenendo erroneamente che questi siano automaticamente responsabili degli obblighi del defunto, hanno generato un considerevole contenzioso, gran parte del quale è durato decenni. Di conseguenza, se un erede ha effettuato una rinuncia irregolare (perché non l'ha protocollata nel registro delle successioni), dal punto di vista fiscale, la sua posizione è paragonabile a quella degli eredi che, pur essendo chiamati all'eredità, non l'hanno ancora accettata. Questo punto è stato chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 2820 del 11 febbraio 2005. Secondo un punto di vista consolidato della Suprema Corte, «la delazione che segue l'apertura della successione, pur essendo un presupposto, non è sufficiente di per sé per acquisire la qualità di erede. Infatti, è necessaria anche l'accettazione da parte del chiamato, attraverso l'aditio o per effetto della pro herede gestio, o per le condizioni previste dall'art. 485 del Codice civile» (Cass. n. 6479/2002: n. 11634/1991; n. 1885/1988; n. 2489/1987; n. 4520/1984; n. 125/1983).

Pertanto, chi agisce in giudizio contro il presunto erede per i debiti del de cuius ha l'onere di dimostrare, applicando il principio generale dell'art. 2697 del Codice civile, che «l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, qualità che non può essere dedotta dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma deriva solo dall'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto citato in giudizio nella sua qualità di erede» (Cass. n. 6479/2002; n. 2849/1992; n. 1885/1988; n. 2489/1987; n. 5105/1985; n. 4520/1984; n. 125/1983). Inoltre, l'onere di dimostrare che vi sia stata effettivamente l'accettazione dell'eredità non comporta «una prova impossibile a causa della previsione, per tale accettazione, del termine di dieci anni e della forma espressa o tacita, poiché l'art. 481 del Codice civile consente a chiunque vi abbia interesse di acquisire in qualsiasi momento la certezza circa l'accettazione o meno dell'eredità da parte del chiamato» (Cass. n. 2489/1987).

Le deroghe tributarie ai principi civilistici di successione sono frequenti. Spesso l'Amministrazione notifica atti fiscali direttamente a coloro che sono chiamati all'eredità quando il defunto muore durante un processo di contestazione di un atto fiscale.

Tra i rapporti attivi e passivi del defunto in cui gli eredi subentrano ci sono anche quelli di natura fiscale. Infatti, in base alle disposizioni civili precedentemente analizzate e come espressamente previsto dall'articolo 65, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, gli eredi sono solidalmente responsabili delle obbligazioni fiscali che si sono verificate prima della morte del defunto. Questa disposizione garantisce all'Amministrazione finanziaria il diritto di agire contro ciascuno degli eredi per esigere l'adempimento dell'intero insieme di obbligazioni fiscali sorte a carico del defunto. Di conseguenza, l'adempimento anche da parte di un solo coerede produce un effetto estintivo del debito con il Fisco, pur mantenendo il diritto, per il coerede che ha adempiuto, di rivalersi sugli altri coobbligati in proporzione alle rispettive quote ereditarie. La posizione degli eredi risulta particolarmente sensibile a causa della loro responsabilità congiunta nel soddisfare gli obblighi fiscali del defunto, almeno per quanto riguarda tasse e imposte. Ogni coerede, infatti, è potenzialmente esposto alla piena pretesa impositiva dell'Amministrazione finanziaria, la quale ha la facoltà di pretendere da ciascuno di essi l'adempimento dell'intero complesso di debiti del defunto. Solo dopo aver estinto l'intero debito con il Fisco, il coerede e condebitore può cercare di recuperare da altri coobbligati.

È chiaro che questa regolamentazione, che garantisce la pretesa fiscale dell'Amministrazione finanziaria, è già piuttosto penalizzante per gli eredi, e diventa ancora più severa nei casi in cui, come vedremo in seguito, l'Amministrazione dirige la sua pretesa non verso gli eredi, ma solo verso coloro che sono chiamati all'eredità. Infine, è importante sottolineare che gli eredi sono responsabili non solo delle obbligazioni derivanti dal subentro nei rapporti fiscali del defunto, ma anche di quelle obbligazioni che scaturiscono dall'applicazione delle norme del D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, relative all'imposta sulle eredità. La rinuncia all'eredità, se validamente effettuata ai sensi dell'art. 519 c.c., non comporta effetti traslativi, in quanto l'erede rinunciante impedisce proprio che si realizzi il trasferimento dei beni e diritti ereditari nel proprio patrimonio. La rinuncia all'eredità, pur essendo soggetta a registrazione (in quanto atto che deve essere accettato da un notaio o dal cancelliere del tribunale), sconta l'imposta di registro in misura fissa (200,00 euro), trattandosi di un atto privo di contenuto patrimoniale (a norma dell'art. 11 della Tariffa, parte I, allegata al DPR n. 131/86). È soggetto ad una sola imposta di registro fissa (200,00 euro) l'atto che contenga più rinunce all'eredità (Circolare n. 44/E/2011 Agenzia Entrate). Se la rinuncia è effettuata dopo l'accettazione dell'eredità (anche tacita), ha effetti traslativi, in quanto è realizzata con l'effetto di trasferire l'eredità già ricevuta dall'erede, a terzi (R.M. 15.7.95 n. 203).

"Secondo la Circolare n. 44/E/2011 deve essere assoggettata ad imposizione proporzionale, come un atto traslativo, la rinuncia che abbia anche una sola delle seguenti caratteristiche:"[3]

  • venga preceduta da accettazione dell'eredità espressa o tacita;
  • venga effettuata sotto forma di donazione, vendita o cessione dei diritti di successione; [4]
  • avvenga con corrispettivo o a favore di alcuni soltanto dei chiamati.[5]

Notifica atto impositivo ai chiamati all'eredità

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Queste incongruenze, unite alla pratica dell'Amministrazione finanziaria di notificare atti fiscali, relativi ai debiti tributari del defunto, ai chiamati all'eredità, hanno generato un considerevole contenzioso. Spesso l'Amministrazione notifica atti fiscali direttamente ai chiamati all'eredità nei casi in cui il defunto muore durante un processo di contestazione di un atto fiscale. La notifica agli eredi di atti fiscali relativi ai debiti tributari del defunto consente al Fisco di inviare un atto fiscale riguardante le obbligazioni fiscali del defunto, in modo generale e collettivo, all'ultimo domicilio del defunto, ai chiamati all'eredità, senza che questi abbiano necessariamente accettato l'eredità. Questa possibilità è espressamente prevista dall'articolo 65 del D.P.R. n. 600/1973. Il secondo comma di questa disposizione obbliga, infatti, gli eredi (o, per essere più precisi, i chiamati all'eredità) a fornire all'ufficio delle imposte del domicilio fiscale del defunto i loro dati personali e il loro domicilio fiscale.

Secondo il successivo comma 4, la notifica degli atti intestati al defunto può essere effettuata agli eredi in modo impersonale e collettivo nell'ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione di cui al comma 2. Pertanto, i chiamati all'eredità che, non essendo ancora eredi o non avendo alcuna intenzione di diventarlo, omettono di comunicare all'Amministrazione finanziaria le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale potrebbero vedersi notificato, ai sensi delle disposizioni di legge sopra citate, un atto impositivo; atto impositivo che, notificato agli eredi in modo impersonale e collettivo presso l'ultimo domicilio del defunto, potrebbe rimanere sconosciuto agli stessi e diventare, in evidente assenza di impugnazione, definitivo. In questo caso, ai chiamati all'eredità, che non hanno ancora accettato l'eredità o che hanno espressamente rinunciato ad essa, non rimane che contestare la cartella di pagamento successiva all'avviso di accertamento correttamente notificato e divenuto definitivo.

La situazione si complica ulteriormente dal punto di vista giuridico, considerando che il rinunciate, se contesta la cartella di pagamento nel merito, accetta automaticamente l'eredità; pertanto, per evitare detto rischio deve solo eccepire l'illegittimità della cartella di pagamento per carenza di legittimazione passiva, avendo rinunciato all'eredità.

Inoltre, in presenza della cartella esattoriale, benché il chiamato abbia rinunciato all'eredità, l'Agenzia delle Entrate, difficilmente, annulla il carico erariale, trincerandosi dietro all'eventualità che la parte, ottenuto lo sgravio della cartella di pagamento, potrebbe revocare la rinuncia all'eredità e decidere di accettarla.

Nella migliore delle ipotesi il contribuente riesce a ottenere dall'Agenzia solo la sospensione della cartella di pagamento, che non soddisfa le esigenze dello stesso, quando deve produrre un certificato attestante l'esenzione di carichi fiscali pendenti.

La Corte di cassazione, considerando quanto stabilito dall'art. 521 c.c., secondo il quale chi rinuncia all'eredità è considerato come se non fosse mai stato chiamato, e ritenendo che il presupposto fondamentale per diventare responsabili dei debiti del defunto è l'accettazione dell'eredità, ha affermato che il chiamato rinunciante non risponde del debito di cui all'art. 65, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973. La dichiarazione di successione non è accettazione tacita di eredità. La legge stabilisce che coloro che sono designati come eredi, a prescindere dalla loro scelta di accettare o rifiutare l'eredità, devono rispettare certi doveri. Questi includono l'obbligo di inviare la comunicazione richiesta dall'art. 65, comma 2, D.P.R. n. 600/1973, e di presentare la dichiarazione di successione come previsto dall'art. 28 del D.lgs. n. 346/1990.

Actio interrogatoria

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Per comprendere appieno la logica e la funzione dell'actio interrogatoria nel sistema relative all'accettazione dell'eredità. Come stabilito dall'art. 480 c.c., il diritto di accettare l'eredità è soggetto al normale termine di prescrizione decennale a partire dalla data di apertura della successione. [6]

Il punto più importante in questo contesto è che il suddetto termine di prescrizione decorre, non solo per l'attuale destinatario (chiamato), ma anche per tutti gli altri chiamati, cioè per tutti coloro che sono chiamati all'eredità la cui delegazione è subordinata alla mancata accettazione dell'eredità da parte dei primi chiamati. Questo vale anche nel caso in cui i chiamati successivi non siano a conoscenza dell'apertura della successione.

Riassumendo quanto finora illustrato, è importante ricordare che: "il diritto di accettare l'eredità si prescrive in dieci anni dall'apertura della successione" e "il termine decennale decorre anche nei confronti dei chiamati in subordine". Le uniche eccezioni a tale principio sono previste dall'art. 480 c.c.

Quando una persona muore, tutti i suoi beni e obbligazioni (intesi come l'insieme dei diritti e doveri legali che le appartengono) passano agli eredi, che possono essere nominati dal defunto nel suo testamento o, in assenza di questo, determinati dalla legge. Tuttavia, l'eredità non viene acquisita automaticamente: gli eredi devono accettarla. Infatti, non sempre ereditare i beni del defunto è vantaggioso per gli eredi, poiché potrebbe accadere che il patrimonio sia composto principalmente da debiti. Per evitare che gli eredi debbano assumersi i debiti del defunto in tali circostanze, la legge prevede che essi possano rifiutare l'eredità.

Pertanto, alla morte di una persona, inizia un periodo di incertezza che dura fino a quando gli eredi non decidono se accettare o rifiutare l'eredità. Secondo l'articolo 480 del Codice civile, "il diritto di accettare l'eredità si estingue dopo dieci anni" dal giorno dell'apertura della successione. Quindi, il periodo di incertezza può durare anche un tempo considerevole.

Questo ovviamente danneggia coloro che, alla data della morte, avevano rapporti legali di natura patrimoniale non ancora conclusi con il defunto. Ad esempio, i creditori del defunto: se il loro debitore muore e nessuno degli eredi accetta tempestivamente l'eredità, si trovano in uno stato di incertezza dannosa, non sapendo a chi rivolgersi per far valere i loro diritti.

Per evitare tali conseguenze, l'articolo 481 del Codice civile permette a chiunque abbia un interesse di chiedere al giudice di stabilire un termine - ovviamente inferiore ai dieci anni previsti dall'articolo 480 del Codice civile - entro il quale gli eredi devono dichiarare se accettano o rifiutano l'eredità; se questo termine scade senza che sia stata fatta alcuna dichiarazione, l'erede perde il diritto di accettare.

L'articolo 481 recita letteralmente: «Chiunque vi ha interesse può chiedere che l'autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale l'erede dichiari se accetta o rinuncia all'eredità. Se questo termine scade senza che sia stata fatta alcuna dichiarazione, l'erede perde il diritto di accettare».

Attraverso questo rimedio, chiamato actio interrogatoria, si permette quindi a coloro che vi hanno interesse di evitare gli effetti dannosi che deriverebbero dal prolungarsi della situazione di incertezza.

Questi interessati sono principalmente i creditori del defunto, che hanno bisogno di individuare una persona da cui recuperare i loro crediti. Tuttavia, la categoria dei creditori non esaurisce l'elenco degli interessati. Ad esempio, se il defunto fosse comproprietario di un immobile che sta per essere venduto: alla sua morte, gli altri comproprietari, se intendono procedere alla vendita, hanno ovviamente bisogno di conoscere le intenzioni dell'erede; se quest'ultimo rimane inattivo, quindi, essi possono avviare l'actio interrogatoria.

Il termine stabilito dal giudice è un termine di decadenza e il suo inutile decorso viene interpretato come un rifiuto dell'eredità.

Hanno diritto a proporre l'azione i cosiddetti eredi ulteriori, cioè coloro che potrebbero succedere se il primo erede non accettasse l'eredità, o, in subordine, i legatari, i creditori dell'eredità e quelli personali del primo erede, l'esecutore testamentario e il curatore dell'eredità giacente, mentre i legittimati passivi sono tutti gli eredi, compresi gli incapaci e le persone giuridiche.

L'azione può essere avviata contro qualsiasi erede, anche se incapace.

La ragione di questa norma è quella di garantire la certezza delle transazioni legali.

Si segnala in tema una sentenza della Corte Suprema (Cassazione civile, Sez. VI-2, ordinanza n. 22195 del 20 ottobre 2014) che ha stabilito il seguente principio: «In tema di successione per causa di morte, la perdita del diritto di accettare l'eredità ex art. 481 c.c. comporta anche la perdita della qualità di erede per testamento, con la conseguenza che la devoluzione testamentaria diventa inefficace e si apre esclusivamente la successione legittima ai sensi dell'art. 457 c.c. senza che si verifichi la coesistenza tra successione testamentaria e successione legittima». [7]

E ancora, riguardo alla natura del termine entro cui accettare o meno assegnato dal giudice, si evidenzia la seguente sentenza (Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 4849 del 26 marzo 2012): «In tema di successioni per causa di morte, il termine fissato dal giudice, ai sensi dell'art. 481 c.c., entro il quale l'erede deve dichiarare la propria eventuale accettazione dell'eredità, anche con inventario, è un termine di decadenza, essendo finalizzato a far cessare lo stato di incertezza che caratterizza l'eredità fino all'accettazione dell'erede. Ne consegue che dal decorso di detto termine, in assenza della dichiarazione, discende la perdita del diritto di accettare, rimanendo preclusa ogni proroga di esso, senza che rilevi in senso contrario la possibilità di dilazione consentita dall'art. 488, secondo comma, c.c. unicamente per la redazione dell'inventario».

Gli effetti dell'actio interrogatoria sono descritti nell'articolo 481 del Codice civile, nel quale è sancito che il chiamato debba dichiarare se accetta o rinuncia all'eredità entro il termine fissato giudizialmente. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare.

Conclusioni

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L'actio interrogatoria, quindi, offre a coloro che hanno un interesse la possibilità di evitare le conseguenze negative che potrebbero derivare da un lungo periodo di incertezza. Questi soggetti interessati possono includere i creditori del defunto, ma anche altre parti, come i coproprietari di una proprietà che sta per essere venduta.

Il termine stabilito dal giudice è un termine di decadenza e se questo termine passa senza essere utilizzato, viene interpretato come una rinuncia all'eredità. Senza dubbio, l'actio interrogatoria è uno strumento che garantisce la certezza delle transazioni legali.

Tuttavia, l'Agenzia normalmente non utilizza questo strumento, perché preferisce seguire il percorso più semplice della riscossione, intimidendo la parte con le azioni esecutive e costringendola a rivolgersi al giudice tributario, con la piena consapevolezza, purtroppo, che difficilmente il fisco lascerà andare la sua preda fino al giudizio di Cassazione.


[1] "La rinuncia all'eredità tra aspetti civilistici e fiscali", Fiscomania.

[2] "La rinuncia all'eredità tra aspetti civilistici e fiscali", cit.

[4] Agenzia delle Entrate, circolare 7 ottobre 2011, n. 44

[5] F. Migliorini, cit.

[6] ("Actio interrogatoria | Effetti | Procedura - Avvocato Paccosi civilista")

[7] Cassazione civile n. 22195/2014


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