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Data: 30/08/2024 06:00:00 - Autore: Redazione
Per integrare il reato di minaccia è sufficiente cagionare il timore nella vittima, anche senza che si verifichi il male minacciato. E' quanto affermato dalla seconda sezione penale della Cassazione, nella sentenza n. 31830/2024 (sotto allegata), chiamata a decidere sul ricorso di un imputato condannato per rapina impropria a causa del furto di una borsa.
A dire del ricorrente, l'espressione proferita all'indirizzo della persona offesa, con la quale paventava conseguenze pregiudizievoli ove avesse insistito nella richiesta di restituzione della refurtiva, non aveva attitudine ad intimorire la denunziante perché del tutto generica.
Ma la Corte, riportandosi alla giurisprudenza di legittimità, afferma che "nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante, invece, l'indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente (Sez. 5, n. 45502 del 22/04/2014, Rv. 261678 - 01; n. 21601 del 12/05/2010, Rv. 247762-01)".
Inoltre, proseguono i giudici della S.C., "la fattispecie ex art. 612 c.p., nella specie assorbita nel delitto complesso di rapina, è infatti un reato formale di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso mentre la valutazione dell'idoneità della minaccia a realizzare la finalità intimidatoria va fatta avendo di mira un criterio di medialità che rispecchi le reazioni dell'uomo comune (Sez. 5, n. 8264 del 29/05/1992, Rv. 191433 - 01) e costituisce un accertamento fattuale riservato al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità ove congruamente giustificato".
Il ricorso è quindi inammissibile.
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