Data: 09/09/2024 06:00:00 - Autore: Andrea Pedicone

Principi generali

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Nella giornata del 5 settembre 2024 la Corte di Cassazione ha emesso due provvedimenti in materia di licenziamento del lavoratore in stato di malattia.

In entrambi i giudizi, i giudici hanno ricordato che – in linea generale – durante la convalescenza il lavoratore può svolgere più o meno qualsiasi attività purché essa non ritardi o pregiudichi la guarigione, ovvero non faccia sorgere il sospetto che la malattia sia simulata.

Non è tanto quindi importante cosa fa in assoluto il lavoratore, ma la relazione tra ciò che fa e la patologia che lo rende temporaneamente inabile al lavoro. Precisano i giudici che una patologia che rende il lavoratore impossibilitato, seppur temporaneamente, dall'erogare la prestazione lavorativa, non necessariamente gli può impedire di svolgere altre attività.

Licenziamento confermato

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Con l'ordinanza numero 23852 del 5 settembre 2024, la Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento di un lavoratore che, durante la convalescenza, si è recato a giocare una partita di calcio del torneo regionale di prima categoria. Secondo i giudici la condotta in questione ha violato gli obblighi di lealtà e correttezza nei confronti del datore di lavoro perché diretta, tramite la simulazione di uno stato fisico incompatibile con lo svolgimento dell'attività lavorativa, non solo all'assenza dal lavoro, ma anche al vantaggio indebito della partecipazione, in orario di lavoro, alla partita di calcio già programmata da tempo, che certamente implica uno sforzo fisico gravoso. Secondo i giudici il dipendente ha quindi simulato la malattia, o comunque non adempiuto al proprio dovere di trascorrere la convalescenza in maniera appropriata, in quanto la partita di calcio è un'attività incompatibile con la malattia (che sarebbe quindi simulata), ovvero che necessariamente ritarda la guarigione.

Licenziamento annullato

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Con l'ordinanza 23858 emessa in pari data, è stata invece confermata la nullità del licenziamento di una lavoratrice che durante la convalescenza si è recata al bingo ed al centro commerciale per fare shopping. L'impedimento al lavoro non necessariamente produce l'impossibilità, con le residuali capacità psico-fisiche, di svolgere attività "normali", soprattutto se compiute fuori dall'orario di reperibilità. In tale contesto non è stata sufficiente la relazione dell'investigatore privato, delegato dall'azienda a pedinare la dipendente per verificare, appunto, il suo rispetto ai doveri di lealtà e correttezza, vale a dire ad accertare che non avesse comportamenti che pregiudicassero o ritardassero la guarigione, o facessero dubitare dell'esistenza della malattia. Il detective, infatti, può soltanto riferire ciò che ha visto, mentre gli è certamente preclusa qualsiasi valutazione circa l'incidenza dei comportamenti sulla guarigione. Considerazione che, infatti, compete esclusivamente al medico ed al giudice.

Andrea Pedicone

Consulente investigativo ed in materia di protezione dei dati personali

Auditor/Lead Auditor Qualificato UNI CEI EN ISO/IEC 27001:2017


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