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Data: 11/11/2024 06:00:00 - Autore: Alessandra Caronia La Convenzione del Consiglio D'Europa sulla prevenzione e lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, più nota come Convenzione di Istanbul, proprio perché sottoscritta nella città turca, costituisce il primo strumento giuridico internazionale vincolante in tema di violenza domestica e di genere, violenza nei contesti familiari, nelle relazioni di convivenza (e non solo), con particolare attenzione alla vulnerabilità delle vittime (donne/soggetti fragili/bambini/anziani), ai rischi da reiterazione delle condotte violente e multilesività ed alla vittimizzazione secondaria. Il Trattato, aperto alla firma in data 11.05.2011, fu sottoscritto originariamente da 12 Paesi (Austria, Finlandia, Turchia, Germania, Francia, Grecia, Montenegro, Svezia, Islanda, Portogallo, Lussemburgo, Slovacchia) fino agli attuali 45 ed il primo Paese a ratificarla, in data 12.03.2012, fu la Turchia ma, proprio quest'ultima, nel 2021, si ritirò dalla Convenzione. Anche la Polonia aveva annunciato la propria volontà di non aderire più al Trattato ma Donald Tusk, nel dicembre 2023, ha rinunciato la ricorso avanzato avanti il Tribunale Costituzionale di Varsavia volto a valutare l'adesione della Costituzione polacca al Trattato. L'Italia ha aderito alla Convenzione di Istanbul in data 27.09.2012 e l'ha ratificata con Legge n. 77 del 27.06.2013. L'Art. 3 della Convenzione di Instanbul inquadra la violenza contro le donne nell'ambito delle violazioni dei diritti umani, costituendo una forma di discriminazione di genere. I cardini su cui il Trattato ruota le cd. 4 P, ovvero: 1. Prevenzione 2. Protezione 3. Procedere contro i colpevoli (Punizione) 4. Politiche integrate L'UE ha ratificato Convenzione di Istanbul nel 2023 e, in data 24.05.2024, ha adotatto la Direttiva UE n. 1385/2024[1] in tema di definizione minime comuni dei reati i cui obiettivi sono:
- Cyberviolenza; - Cyberbullismo; - Cyberstalking; - Cyber flashing (Dick pic); - Matrimonio forzoso; - Mutilazione dei genitali; - Istigazione all'odio e misoginia in rete; - Condivisione e manipolazione on line di materiale intimo senza consenso. Non si è pervenuti, invece, come sarebbe stato auspicabile, ad una definizione comune del reato di stupro perché è mancata una nozione univoca e condivisa del concetto di consenso. Al fine di valutare l'applicazione della Convenzione di Istanbul, è stato creato un gruppo indipendente di esperti denominato GREVIO (Group of Expert on Action against Violence against Women and Domestic Violence) cui pervengono i Report degli Stati aderenti, nonché i cd. rapporti ombra della società civile. A seguito della valutazione, il Grevio verifica l'applicazione della Convenzione di Instanbul e le criticità rilevate. All'Italia sono pervenute forti raccomandazioni, segnatamente, in tema di vittimizzazione secondaria che "si realizza quando le Autorità chiamate a reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti o reiterazionidelle condotte violente."[2] In presenza di allegazioni di violenza, non si può intraprendere un percorso di mediazione familiare e, se questo è stato ininziato, va immediatamente interrotto dal mediatore. Il divieto de quo trova il proprio fondamento giuridico nell'art. 48 della Convenzione di Istanbul che sancisce il divieto di metodi alternativi di risoluzione dei conflitti o di misure alternative alle pene obbligatorie. Il divieto si traduce nel non poter ricorrere alla mediazione familiare, alla mediazione civile (D. Lgvo 28/2010) ed alla conciliazione in presenza di abusi familiari e violenza di genere. La citata norma sovranazionale richiede, inoltre, garanzie degli obblighi finanziari in favore delle vittime ma tali tutele, tuttavia, non hanno trovato applicazione nel nostro sistema giuridico. La seconda parte dell'art. 48 della Convenzione pone, altresì, il veto alle "misure alternative" alle pene obbligatorie. Nell'ordinamento italiano, la L. 103/2017 ha introdotto le Condotte riparatorie quale nuova causa estinzione del reato ex art. 162 ter c.p. nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione processuale. In tema di Giustizia Riparativa, la condotta riparatoria costituisce lo strumento idoneo a rimediare all'illecito e, ove possibile, ad annullarne le conseguenze mediante restituzione o risarcimento del danno. In tali ipotesi, il Giudice, sentite le parti e P.O., valutata la congruità della condotta riparatoria, che dovrà avvenire entro l'apertura del dibattimento in I grado (salvo il caso di impossibilità non imputabile all'imputato con conseguente termine non superiore a sei mesi per ottemperare) dichiara estinto il reato per cui si procede. Originariamente, la norma si applicava anche per lo stalking ma si poneva in palese contrasto con il principio enunciato dall'Art. 48 della Convenzione di Instabul. In ragione di ciò, pochi mesi dopo l'emanazione della citata L. 103/2017, è stato introdotto l'ultimo comma dell'art. 162 ter c.p. che ha escluso espressamente l'ambito di applicazione delle condotte riparatorie ai reati previsti e puniti dall'art 612 bis c.p.. La Riforma Cartabia ha introdotto l'Art. 473 bis n. 10 c.p.c., rubricato "Mediazione familiare" prevedendo che il Giudice possa, in ogni momento del giudizio, informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi ad un mediatore da loro scelto (tra quelli iscritti nell'apposito elenco tenuto presso il Tribunale). Qualora ne ravvisi l'opportunità, il Giudice, sentite le parti e con il loro consenso, può differire i provvedimenti ex 473 bis n. 22 per consentire ai coniugi di trovare un accordo nell'interesse morale e materiale dei minori. Trattasi, sempre, di mediazione volontaria in quanto il Giudice non può imporre alle parti un percorso di mediazione familiare. Quest'ultima, sotto un profilo squisitamente tecnico, non è un metodo alternativo alla risoluzione di un conflitto giacché l'auspicato accordo, per essere giuridicamente vincolante tra le parti, deve sempre "entrare nel processo" ed essere recepito nella sentenza di omologazione, previa valutazione della non contrarietà degli accordi all'interesse dei figli. La Riforma Cartabia, all'interno del Libro II, Capo III, del Codice di rito ha introdotto un'apposita Sezione I, intitolata:Violenza domestica o di genere, con gli articoli artt. 473 bis dal n. 40 al n. 46 c.p.c.. che prevede, per i giudizi con allegazioni di violenza domestica ed abusi familiari, la cd. corsia preferenziale. L'art. 473 bis n. 43 c.p.c., conformemente a quanto previsto dall'art. 48 della Convenzione di Instanbul, prevede che non si possa iniziare un percorso di mediazione familiare se vi è sentenza di condanna, o applicazione della pena, anche in I grado, o penda un procedimento in fase successiva all'assegnazione dei termini dopo la conclusioni delle indagini preliminari o se siano allegate condotte di violenza o abusanti o se queste ultime emergano in corso di causa. Se le condotte emergono durante la mediazione familiare, il mediatore deve interrompere immediatamente il percorso. Nel decreto di fissazione dell'udienza di comparizione non vi sarà l'invito alla mediazione familiare. Inoltre, nei procedimenti de quibus, non c'è obbligo di comparizione personale delle parti ed è possibile anche fissare di orari di udienza differiti o da remoto. Lo scopo è di evitare contatti tra la vittima e l'autore delle presunte condotte violente o abusanti e la vittimizzazione secondaria. Se le parti compaiono, non vi è tentativo conciliazione né invito alla mediazione familiare. E' possibile secretare l'indirizzo della vittima, a tutela dell'incolumità e della sicurezza della stessa. Esaurita l'istruttoria, il Giudice, se riterrà sussistenti le allegate condotte di violenza, adotterà i provvedimenti opportuni e, occorrendo, ordini di protezione (art. 473 bis n. 70 c.p.c.) che ricalca il contenuto dell'art. 342 ter c.c. ma emendando l'invito alla mediazione familiare. Al contrario, ove le condotte de quibus siano ritenute insussistenti, sarà possibile intraprendere la mediazione familiare. Qual è la ratio del divieto di mediazione in presenza di allegazioni di violenza atteso che la finalità del percorso è la risoluzione del conflitto familiare" Il fondamento del divieto in parola risiede nella differenza tra conflitto e violenza. Il conflitto è antinomia dei bisogni contrapposti nell'ambivalenza dei rapporti che, con la mediazione, teleologicamente, ricercano e trovano una composizione. Pertanto, la mediazione familiare può costituire un valido strumento per durante la fase patologica della relazione affettiva in quanto restituisce alle parti la capacità di dialogo ed il canale comunicativo che è fondamentale soprattutto in presenza di figli minori. La violenza, al contrario, è prevaricazione in quanto un soggetto si trova in posizione di subordinazione o soggezione, fisica o psicologica rispetto all'altro. In conclusione, in presenza di abusi familiari o violenza di genere, la stanza di mediazione rischierebbe di diventare cassa di risonanza della violenza, legittimando le condotte abusanti e violente, la manipolazione, la colpevolizzazione del soggetto più fragile e ciò perché la violenza inficia nel profondo la capacità o l'adeguatezza nel comprendere i bisogni propri e dei figli. Come sappiamo, la violenza può manifestarsi in varie forme: può essere fisica, psicologica, economica, può concretizzarsi in minacce, coercizione, privazione della libertà pubblica o privata e l'elenco non è affatto esaustivo ma meramente esemplificativo e solo un approccio multidisciplinare al fenomento della violenza da parte di professionisti competenti potrà essere un valido strumento alla lotta che non è solo questione di genere, non appartiene solo alle donne, ma ad ogni essere umano. Purtroppo, nulla è più "democratico" e trasversale della violenza che presenta le medesime dinamiche in contesti di agiatezza o povertà, tra gente colta o che non ha avuto accesso agli studi, tra le classi sociali elevate o, al contrario, disagiate ed emarginate. "E non è facile dire al mondo che sei vittima di violenza. A volte, non lo sai nemmeno tu….. Perché se il male proviene da uno sconosciuto, lo riconosci subito, lo combatti e lo eviti. Ma se il male proviene dalla persona con la quale hai condiviso un progetto di vita, dei figli, dei sogni, puoi non accorgerti di essere vittima di violenza di genere. Perché, che si sappia, essere vittima non piace a nessuno! La violenza inizia in modo strisciante e subdolo. E' come un serpente che ti soffoca con la sua spirale avvolgente. Ti confonde, ti toglie lucidità, ti fa compiere scelte sbagliate o, peggio, non te ne fa fare perché ti paralizza. E' facile dire a gran voce: "Denuncia, denuncia al primo schiaffo….". Ma, spesso, ben prima di arrivare ad uno schiaffo, c'è uno spintone e, prima ancora, quel dito puntato in faccia che ti dice cosa fare o cosa non fare. E, ancora prima, ci sono le parole che, un tempo cariche d'amore, un giorno qualunque, diventano stiletti che affondano nel burro morbido. Sono quelle parole, ancor più degli schiaffi, dei pugni o dei calci, che ti uccidono ogni giorno e minano tutto ciò in cui credi e ti trasformano. E ti chiedi cosa hai fatto, perché è successo e non sai la risposta.. o non la vuoi conoscere. Sì, la violenza ti cambia per sempre. Chi la subisce non può più tornare indietro. La corazza che si costruisce per sopravvivere ad essa intrappola l'anima e, anche quando non hai più bisogno di essa, ti lascia vulnerabile, fragile, come uno specchio rotto in cui l'immagine riflessa è a pezzi. Perché la violenza ti fa a pezzi e rimetterli insieme è un'opera d'arte..."
Avv. Alessandra Caronia Responsabile Pari Opportunità AMI Distretto di Palermo network.studiocataldi.it [1] La Direttiva dovrà essere ratificata dagli Stati UE entro Giugno 2027. [2] Dalla Relazione della Commissione sui Femminicidi al Senato del 2022. |
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