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Data: 07/02/2008 - Autore: www.laprevidenza.it “Il danno da invalidità deve essere accertato in concreto in relazione all'attività svolta dal soggetto leso: ove non sia dimostrato dal danneggiato la concreta incidenza del danno sulle sue possibilità di guadagno futuro, nonché l'entità del pregiudizio economico conseguentemente sofferto, il danno non è risarcibile”. Nella sentenza in epigrafe la S.C. precisa che “risponde a consolidato principio giurisprudenziale che il grado di invalidità di una persona, determinato dai postumi permanenti di una lesione all'integrità psico-fisica dalla medesima subita, non si riflette automaticamente nella stessa misura sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e quindi di guadagno della stessa, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l'incidenza” (v. in particolare Cass., 14/10/2005, n. 19981). Detto danno patrimoniale da invalidità deve essere pertanto accertato in concreto, attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgeva (o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, presumibilmente avrebbe svolto) un'attività produttiva di reddito (v. Cass., 20/1/2006, n. 1120; Cass., 14/10/2005, n. 19981; Cass., 5/7/2004, n. 12293). Allorché la persona che ha subito una lesione dell'integrità fisica, come nella specie, già eserciti un'attività lavorativa, in presenza di postumi permanenti di modesta entità (cd. micropermanente) un danno da lucro cessante conseguente alla riduzione della capacità lavorativa è configurabile solamente in quanto sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno non patrimoniale (cfr. Cass., 9/1/2001, n. 239), e cioè biologico, morale ed esistenziale (cfr. Cass., 6/2/2007, n. 2546; Cass., 2/2/2007, n. 2311; Cass., 12/6/2006, n. 13546; Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572. V. anche Cass., 19/2/2007, n. 3758. Diversamente v., da ultimo, Cass., 20/4/2007, n. 9510; Cass., 9/11/2006, n. 23918). A tal fine occorre che il giudice, oltre ad accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità di svolgimento dell'attività lavorativa specifica- e questa a sua volta sulla capacità di guadagno-, accerti se e in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l'infortunio subito, una capacità ad attendere al proprio o ad altri lavori confacenti alle sue attitudini e condizioni personali e ambientali idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte. E solo se dall'esame di detti elementi risulta una riduzione della capacità di guadagno e del reddito effettivamente percepito, questo è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante. Incombe al danneggiato anzitutto dimostrare che il danno, sia pur lieve, ha avuto concreta incidenza sulle sue possibilità di guadagno futuro (v. Cass., 26/9/2000, n. 12757; Cass., 28/4/1999, n. 4235), nonché l'entità del pregiudizio economico conseguentemente sofferto. E laddove risulti certa la riduzione della capacità lavorativa specifica di lavoro, quest'ultimo può essere in effetti provato anche a mezzo di presunzioni (v. Cass., 14/10/2005, n. 19981; Cass., 3/5/1999, n. 4385). In definitiva, la liquidazione del danno non può essere fatta in modo automatico in base ai criteri dettati dall'art. 4 legge 26 febbraio 1977, n. 39, che non comporta alcun automatismo di calcolo, ma si limita ad indicare alcuni criteri di quantificazione del danno sul presupposto della prova relativa che incombe al danneggiato e può essere anche data in via presuntiva, purché sia certa la riduzione di capacità lavorativa specifica (v. Cass., 6/4/2005, n. 7097; Cass., 29/10/2001, n. 13409). (Avv. Tiziana Cantarella) Cass. Civ., sez. III, 18 settembre 2007, n. 19357 - Tiziana Cantarella |
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