Data: 11/03/2008 - Autore: Silvia Vagnoni
La vicenda trattata dalla Suprema Corte nell'ambito della sentenza n. 5282/2008 è quella di un ragazzo affetto da psicosi allucinatoria che, ricoverato nel reparto psichiatrico di un nosocomio campano, vi trovava la morte per suicidio nonostante i genitori avessero segnalato ai sanitari i suoi precedenti propositi e la necessità di approntare i necessari controlli atti ad evitare la realizzazione degli stessi.
I coniugi hanno proposto ricorso alla Suprema Corte per ottenere la cassazione della sentenza di appello che ridimensionava notevolmente il risarcimento quantificato dai giudici di primo grado osservando che i genitori di un ragazzo affetto da una grave infermità psichica sono "predisposti" alla sua morte e quindi soffrono meno in ragione di una diversa intensità del rapporto genitore-figlio che si caratterizza per una totale assenza di comunicazione, per isolamento, disagio e difficoltà comportamentali.
La Corte ha accolto il ricorso sostenendo invece che in alcun modo i genitori di un malato possano essere indennizzati meno di quelli che abbiano subito la perdita di un figlio sano e ciò in quanto "gravi affezioni e preoccupanti patologie di un figlio intensificano, piuttosto che diminuire, il legame emozionale con il genitore, quasi che l'intensificazione di un sentimento di amore possa in qualche misura compensare la gravità della sintomatologia accusata dal figlio stesso: e la prova presuntiva di tale, intensificata relazione affettiva può legitti­mamente desumersi, nella specie, proprio dalla quantità e qualità di cure prodigate all'infermo".
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