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Data: 06/04/2008 - Autore: Roberto Cataldi
In politica certe valutazioni si possono anche ammettere. E così un'accusa di commettere illegalità e di essere addirittura i "protettori dell'illegalità" non costituisce reato. Parola di Cassazione.
I Giudici del Palazzaccio hanno infatti annullato "perche'
il fatto non costituisce reato" una doppia condanna per diffamazione
di un consigliere comunale che durante un aseduta aveva affermato che il sindaco dell'amministrazione precedente e quello attuale erano stati dei "protettori dell'illegalita'".
I giudici di merito avevano ritenuto si trattasse di una diffamazione in piena regola.
La condanna è stata ora annullata dalla Corte di Cassazione (lV sezione penale sentenza
13880/2008) che, pur dolendosi dei "livelli di degenerazione
linguistica" a cui e' arrivata la nostra politica ha chiarito che l'accusa di illegalita' diretta a un politico deve essere considerata "una
valutazione prettamente politica", dunque un'espressione che rientra nel legittimo "diritto di critica".
Nel ricostruire la vicenda la Corte sottolinea come le accuse in
questione rientrassero in un "excursus storico delle vicende relative
all'approvazione del piano regolatore del Comune di Solofra, negli
anni precedenti al '99, nel quadro di una vivace critica ai metodi di
amministrazione dell'epoca, che aveva avuto seguito
nell'amministrazione in atto".
Anche se l'espressione utilizzata "ha valenza obiettivamente lesiva
dell'altrui onore o decoro, tanto piu' se riferita a rappresentanti
della pubblica amministrazione", considerato il contesto in cui era
avvenuta e le sue finalizzazioni "esprimeva una valutazione
prettamente politica". E come tale non punibile.
Si legge nella motivazione che un simile epiteto deve inquadrarsi "in un suggestivo parallelismo storico che intendeva
sottolineare, e stigmatizzare, la perpetuazione di sistemi gestionali
che, in materia tanto delicata, erano ritenuti, a torto o a ragione,
ma sempre in chiave di valutazione di parte, volti alla copertura di
grumi di interessi illegali, che l'approvazione del piano di
lottizzazione intendeva evidentemente legittimare".
Di qui la considerazione che il fatto costituisse espressione di una "mera opinione valutativa propria della particolare
angolazione prospettica del gruppo politico di appartenenza".
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