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Data: 23/07/2008 01:00:00 - Autore: Salvatore Menditto La Corte Costituzionale, pur con ordinanza (la n. 248 del 23/06/2008) di formale declaratoria di manifesta inammissibilità, torna sulla questione relativa alla presunta illegittimità costituzionale dell'art. 44 del D.P.R. 06/07/2001, n. 380 (c.d. Testo Unico sull'edilizia), nella parte in cui non include quale causa di estinzione del reato il disposto dettato, per fattispecie analoga, dall'art. 181, c. 1-quinquies, del D.L.vo 22/01/2004 (c.d. Codice dei beni culturali e del Paesaggio), nel testo seguente alle modifiche introdotte dall'art. 1, c. 36, L. 15/12/2004, n. 308. Nello specifico, la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, era stata rimessa dal Tribunale penale di Ancona, Sezione Distaccata di Jesi, il quale osservava come vi fosse una sorta di “disparità di trattamento” tra le due fattispecie, pure tra loro simili in termini di comportamento integrante il reato edilizio. Infatti, in forza del disposto recato dall'art. 181, c. 1-quinquies, il reato commesso su aree o immobili soggetti a vincolo paesistico si estingue in caso di rimessione in pristino delle stesse da parte del trasgressore prima che essa venga disposta d'ufficio, mentre analogo effetto estintivo non era previsto dall'art. 44 del T.U.. Peraltro, sempre come veniva osservato nel provvedimento di remissione, la mancata applicazione della causa estintiva del reato si appalesava del tutto irragionevole, in quanto veniva ad essere sanzionato in maniera più incisiva, e – cioè – senza possibilità di estinzione “sanante”, un abuso più “lieve” rispetto a quello per il quale operava, invece, tale facoltà, prevista – appunto – per gli abusi commessi su beni vincolati paesisticamente. E, nel caso da cui scaturiva – su istanza espressa dei difensori dell'imputato – l'ordinanza di rimessione, il soggetto aveva, appunto, proceduto alla demolizione del fabbricato abusivo prima dell'intervento della P.A., senza potersi, però, giovare dell'effetto estintivo del reato. Come accennato, la Corte ha dichiarato la questione manifestatamene inammissibile. Tanto, richiamando un proprio consolidato orientamento, confermato anche di recente (cfr. ordinanze nn. 308/2007; 450/2007 e 82/2008), e – cioè - ritenendo che “il rimettente (il quale si limita a rinviare alle deduzioni a verbale dei difensori dell'imputato) non descrive in modo adeguato la fattispecie sottoposta al suo giudizio”. Ma, e da qui l'interesse della pronuncia, la stessa non ha mancato di sottolineare come la questione sottoposta sia, comunque, da ritenersi anche manifestatamene infondata, come già statuito con le ordinanze n. 144/2007 e n. 439/2007. Tale “salvezza” della disciplina speciale veniva ivi giustificata su di una serie di articolate motivazioni, tra cui: 1) l'impossibilità di procedere ad estensione di una previsione, quella dell'art. 181, c. 1-quinquies, avente, per sua stessa ammissione, natura derogatoria, “a meno che non sussista piena identità di funzione tra le discipline poste a raffronto” (cfr., Corte Cost. n. 149/2005) - 2) la non identità tra le fattispecie criminose, che sono solo analoghe, ma che hanno oggetti giuridici diversi (cfr., in punto, Corte Cost., ord.ze n. 46/2001 e n. 327/2000; Cass., Sez. V. 31/03/99, n. 1054), tanto è vero che le stesse “sono in concorso tra di loro” – 3) la possibilità, in forza di quanto sostenuto nei primi due assunti cui sopra, di ritenere del tutto ragionevoli, e legittime, “discipline sanzionatorie e fattispecie estintive differenziate” – 4) la circostanza che, mentre per i beni vincolati viene dato “valore prevalente al ripristino del bene paesaggistico rispetto alla stessa pretesa punitiva dello Stato…nell'ambito della repressione degli illeciti edilizi, la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, con demolizione delle opere abusivamente realizzate, rappresenta solo uno dei possibili esiti sanzionatori dell'illecito, essendo prevista, in alternativa ad essa, (art. 31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001) la possibilità per il Comune di mantenere, a determinate condizioni, l'opera coattivamente acquisita” – 5) la legittimità della scelta operata dal Legislatore, proprio in considerazione della “straordinaria importanza” della tutela “reale” dei beni paesaggistici ed ambientali, “di incentivarla in varie forme: sia riconoscendo attenuanti speciali a favore di chi volontariamente ripari le conseguenze dannose dei reati previsti a tutela delle acque (art. 140 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale»), sia subordinando alla riduzione in pristino il beneficio della sospensione condizionale della pena nei reati collegati alla gestione del ciclo dei rifiuti (artt. 139, 255, 257 e 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006), sia, infine, riconoscendo, come nel caso in esame, valore prevalente al ripristino del bene paesaggistico rispetto alla stessa pretesa punitiva dello Stato”. Considerati i precedenti espressamente richiamati, e proprio in forza di tale richiamo (pur non necessario, attesa l'assorbenza della pronuncia, preliminare, di manifesta inammissibilità della questione sottoposta), sembra potersi dire che la Consulta abbia inteso, in via definitiva, scoraggiare eventuali, ulteriori, iniziative volte al vaglio della predetta norma, dando formale avallo alla piena legittimità (e logicità) della disciplina differenziata tra reato edilizio in zona vincolata e non. |
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