Data: 10/08/2008 01:00:00 - Autore: Salvatore Menditto
Il diritto di accesso deve essere riconosciuto dall'Amministrazione che detiene il documento, anche quando si tratta di relazioni tecniche relative alla determinazione di valori, importi e/o stime, ed anche quando il divieto sia imposto da norme regolamentari adottate dall'Ente. E' questo il dictat espresso con la sentenza epigrafata, a mezzo della quale i Giudici d'appello esaminano una fattispecie di richiesta di esercizio del diritto di accesso avente ad oggetto – appunto – una relazione tecnica concernente la determinazione dei canoni d'uso per gli alloggi, detenuta dall'Agenzia del Demanio, Filiale Lazio, Ufficio di Viterbo. Nel caso di specie, l'istante aveva presentato l'istanza de qua al fine di sviluppare la propria difesa in un giudizio avviato in rapporto al canone concessorio ed alla indennità, richiesti per l'occupazione di un bene demaniale. L'Amministrazione opponeva formale diniego alla richiesta, poiché la predetta relazione tecnica sarebbe stata esclusa dal diritto di accesso, a norma dell'art. 10, comma 3, punto b) del provvedimento in data 24.1.2007 dell'Agenzia del Demanio, riferito alle “relazioni tecnico-descrittive, prodromiche alla stima dei beni dello Stato”. Il Consiglio di Stato, accertato che non vi erano motivi ostativi rappresentati dalla pertinenza del documento richiesto ad una controversia in corso tra il richiedente e la stessa Agenzia del Demanio (e, quindi, che nella fattispecie doveva trovare applicazione l'ampia garanzia all'accesso di cui all'art. 24, co. 7, L. n. 241/90 e s.m.i., relativamente – appunto – alla finalità di “curare o per difendere i propri interessi giuridici”), e non ponendosi la questione, oramai pacifica nel senso dell'accessibilità (cfr., in tal senso, ex multis, T.A.R., Marche, Sez. I, sentenza 04/07/2006, n° 543, e, già prima della riforma del 2005, Cons. Stato, Sez. IV, 04/07/96, n. 820; Cons. Stato, Sez. VI, 18/01/99, n. 22) dei c.d. atti interni (alla cui categoria, evidentemente, apparteneva la documentazione de qua), incentra la disamina sulla compatibilità tra divieti recati dai regolamenti attuativi della LPA (e della norme generali della Legge stessa) e le specifiche esigenze rappresentate dai soggetti privati. Questo, anche alla luce della considerazione che, nel caso di specie, i documenti indicati dal richiedente potevano contenere dati sensibili e/o, comunque, porre problematiche in termini di riservatezza verso terzi soggetti, oltre che presentare profili critici di comparazione tra interessi pubblici (da cui il fondamento delle disposizioni recate dalla norma regolamentare) e privati. Richiamando, anzitutto, la necessità di procedere ad “un'attenta valutazione – da effettuare caso per caso – circa la stretta funzionalità dell'accesso alla salvaguardia di posizioni soggettive protette, che si assumano lese, con ulteriore salvaguardia, attraverso i limiti così imposti, degli altri interessi coinvolti, talvolta rispondenti a principi di pari rango costituzionale rispetto al diritto di difesa”, i Giudici di Palazzo Spada hanno rilevato come in rapporto agli interessi sottesi alla disposizione regolamentare, il divieto recato da quest'ultima “dovrebbe essere disapplicato, ove si ponesse in contrasto con insopprimibili le esigenze di difesa, secondo i principi recepiti dalla sopravvenuta norma legislativa, di grado superiore nell'ambito della gerarchia delle fonti normative”. Da qui, considerato – attraverso attenta analisi “concreta” - che nessun effettivo nocumento a vantati interessi pubblici (né di terzi soggetti privati, eventualmente anche quali controinteressati) poteva derivare dal mero accesso alle relazioni tecniche de quibus (che, tra le altre, hanno la mera funzione di determinare gli importi dei canoni locatizi dovuti ai fini di concessione), l'accoglimento dell'appello proposto, con consequenziale ordine di ostensione dei documenti amministrativi.
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