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Data: 06/10/2008 01:00:00 - Autore: Cristina Matricardi La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione (Sent. 24293/2008) chiamata a decidere sul caso di un presunto illegittimo spostamento di un lavoratore all'interno dell'azienda, ha confermato la Sentenza di prime cure evidenziando che "la sentenza impugnata non ha mai affermato che la nozione di equivalenza delle mansioni di cui all'art. 2103 c.c. sia ancorata alle possibilità o meno di sviluppo di carriera del dipendente nei cui confronti il datore di lavoro ha esercitato lo ius variandi, ma, richiamando la consolidata giurisprudenza di questa Corte al riguardo, ha esclusivamente posto in evidenza – oltre al dato definito oggettivo, rappresentato dall'appartenenza di ambedue i tipi di mansione, di provenienza e di destinazione, al medesimo livello di inquadramento contrattuale – il principio che le mansioni di destinazione 'devono consentire l'utilizzazione ovvero il perfezionamento e l'accrescimento del corredo di esperienze, nozioni e perizia acquisite nella fase pregressa del rapporto'". "Quindi, - ha aggiunto la Corte -, con giudizio di fatto, incensurabile in cassazione in quanto congruamente motivato sulla base dell'analisi degli elementi acquisiti (il cui peso specifico in rapporto al giudizio finale la ricorrente vorrebbe ridiscutere, come non appare consentito in questa sede), la Corte territoriale ha adeguatamente valutato le mansioni di provenienza come più ricche di quelle di destinazione, anche perché svolte in collegamento e in collaborazione con altri uffici della società e connotate da non indifferenti occasioni di crescita professionale mentre quelle di destinazione sono state ritenute elementari, estranee alle esperienze professionali pregresse, aventi 'in sé un maggior rischio di fossilizzazione delle capacità della dipendente'". Infine la Corte ha precisato che "la parte vittoriosa in primo grado non ha l'onere di proporre appello incidentale per chiedere il riesame delle eccezioni disattese dalla sentenza impugnata dalla parte soccombente, risultando sufficiente, al fine di sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all'art. 346 c.p.c., che la stessa proponga tali eccezioni nelle difese del giudizio di secondo grado". |
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