Data: 31/12/2015 - Autore: Aldo Carpineti
E' noto che uno stipendio inferiore alla media, o comunque inadeguato alle reali capacit�, disincentiva il lavoratore pi� di ogni altro motivo. Non � altrettanto vero, o almeno non � sempre vero, che un aumento di stipendio rappresenti il maggiore stimolo ad accrescere l'impegno e la volont� di fare bene. Studi recenti e trascorsi hanno infatti dimostrato che un adeguamento in termini retributivi viene �sentito� dal dipendente, in media, per i successivi due mesi, nei quali le sue forze effettivamente si moltiplicano nella direzione del raggiungimento di risultati migliori, ma poi, passato questo periodo iniziale, il soggetto torna su livelli di resa sostanzialmente comparabili con quelli precedenti. Posto che il discorso ha un valore di buona approssimazione, non necessariamente riscontrabile caso per caso, si pu� dire tuttavia senza troppi timori di cadere in errore che le motivazioni che possono migliorare il rendimento delle prestazioni lavorative siano da ricercare altrove. Non � neanche soltanto un problema da archiviare in termini di �attaccamento� all'azienda ed al proprio lavoro: la �fedelt�� (intesa nel senso di lunga permanenza presso la stessa societ�) era un elemento molto pi� premiante e premiato nel passato di quanto lo sia oggi. Lo stesso trattamento di fine rapporto (altrimenti detto �liquidazione�) rappresentava il corollario finale di una storia personale ed offriva, in termini monetari, un riconoscimento assai cospicuo ed ambito, spesso atteso con uno stato d'animo particolare anche dal punto di vista emotivo. Tutti sappiamo che non � pi� questa, per vari motivi, la realt� dei nostri giorni: l'imprenditore intenzionato a ricercare le soluzioni che siano spinta alla ottimizzazione delle prestazioni dovr� perci� avere attenzione ad altre motivazioni e pi� intrinseche al soddisfacimento delle esigenze del lavoratore in quanto �persona�. Usando qui una terminologia molto elementare ma efficace, � stato dimostrato da dottrine lavoristiche che hanno avuto il loro sviluppo negli anni '80 e �90, come il lavoratore abbia una resa maggiore, soprattutto dal punto di vista qualitativo, se �sta bene� in azienda, se ci vive volentieri, se gli � dato di esprimersi in un ambiente il cui �clima� possa soddisfare le sue esigenze di qualit� della vita, dal punto di vista dei rapporti con le persone (segnatamente con i responsabili) e dell'adattabilit� ai mezzi strutturali. Ma oggi anche la figura del �dipendente� � molto cambiata rispetto al passato: chi lavora � sempre meno dipendente e sempre pi� �imprenditore di se stesso�, sempre pi� �soggetto� di quello che compie e realizza. Il periodo taylorista-fordista, per tradizione caratterizzato dal lavoro in catena di montaggio, sostanzialmente monotono e ripetitivo, e da una precisa suddivisione dei compiti ha lasciato il posto ad una realt� in cui, nell'organizzazione aziendale, a tutti � richiesto di essere dei tecnici: l'operaio che lavora alle macchine utensili, tanto per fare un esempio, dovr� essere in grado di utilizzare strumenti computerizzati, cosiddetti �a controllo numerico�, sempre pi� sofisticati e adatti ad essere maneggiati soltanto da chi abbia una preparazione specifica; l'impiegato, il quadro, il dirigente, sono portati, sempre di pi�, a cercare soddisfazione personale e professionale muovendosi da un'azienda ad un'altra in modo da accrescere e diversificare le proprie competenze e salire, in questo modo, i gradini della propria carriera. Sono molti oggi a pensare che il lavoratore tanto pi� si sentir� appagato dalla vita in azienda quanto maggiormente trover� in essa un ambiente adatto per �realizzare� se stesso: e se il datore di lavoro gli sapr� fornire le condizioni pi� idonee a questo scopo ne far� probabilmente una persona potenzialmente orientata verso le migliori prestazioni. Perch� tutto ci� possa avvenire ha certamente la sua importanza quello che veniva definito come �clima�, in altre parole l'atmosfera che si respira fra le quattro mura aziendali, derivante soprattutto dalle cosiddette �relazioni interne� (altro concetto che, a buon titolo, ha avuto grande fortuna nella storia delle teorie del �personale� applicate al mondo aziendale). Ma oggi si ritiene che il lavoratore chieda qualcosa di pi� di un ambiente disposto ad accoglierlo confortevolmente e dove i rapporti umani siano sintonici. In passato veniva presentata come una virt� quella di chi si sapeva accontentare della propria condizione. Sono poche, invece, ai nostri giorni, le persone nelle quali non si noti una volont� di migliorare, in un modo o nell'altro, la propria condizione personale, soggettiva e sociale: al tempo stesso si sta verificando, confortato da tendenze in tal senso nei mondi della filosofia, della sociologia e della psicologia, dai quali � lecito ed opportuno attingere, un recupero degli aspetti �individuali� della persona, nella considerazione che la valorizzazione di essi conduce all'utilizzo delle migliori capacit� specifiche di ognuno, con soddisfazione generale: se da una parte si riconosce che certi traguardi sociali si raggiungono soltanto unendo le forze e potenziando il collettivo, dall'altra tendono ad essere valorizzate le peculiarit�, le attitudini e le conoscenze personali, cos� da avere risposte utili sempre pi� diversificate ed originali. In questo senso, e nella maggiore misura possibile, l'azienda potr� trarre beneficio dall'apporto di ognuno, quanto pi� ai soggetti sar� dato di esprimersi secondo il raggio di tutte le skills di cui dispongono. Non soltanto nei termini di attitudini al proprio lavoro, ma anche in quelli di incoraggiata disponibilit� a ruoli propositivi per la vicenda aziendale. Ma ancor pi� nell'assunzione da parte del lavoratore dell'abitudine a pensare che il mondo dell'azienda dove lavora abbia un senso determinante nella �riuscita� della propria esistenza. E' anche un elementare principio che risponde a criteri di economicit�, in una situazione di contingenze nelle quali, per necessaria scelta, ogni organizzazione deve badare strettamente alle spese, �sfruttare� (anche se pu� suonare poco opportuno usare questo termine) tutto quanto di meglio ogni voce, contabilmente attiva o passiva, pu� rendere. Non c'� dubbio che questa soluzione possa rappresentare anche un risparmio economico dal punto di vista del contenimento degli organici e dei relativi costi. Lo si voglia o no, il personale rappresenta un capitolo di �spesa� a bilancio, quasi sempre fra i pi� consistenti. Ed � legittimo aspettarsi che ad ogni �costo� corrisponda una contropartita adeguata. Al tempo stesso predisporre e congegnare la realt� in modo da dare l'opportunit� ad ognuno di �venir fuori� potr� offrire ai soggetti le maggiori probabilit� di trovare soddisfazione personale attraverso l'espressione, la messa a frutto, anche a proprio beneficio, di tutto quanto di cui dispongono in termini di capacit� e versatilit� proprie; soprattutto se il datore di lavoro avr� saputo vincere le sue ritrosie legate a volte alla pretesa posizione di unico determinatore dei destini dell'azienda. Certamente le condizioni dovranno essere tali da far s� che il dipendente non debba sentirsi �spremuto� ma, al contrario, realmente �valorizzato�. Sar� dunque quasi un'�arte� per l'imprenditore e per i suoi collaboratori pi� immediati impiegare il dipendente secondo i criteri pi� remunerativi procurandogli al tempo stesso il massimo di soddisfazione dal proprio lavoro. N� va sottovalutato che una simile interpretazione bilateralmente coincidente fra gli interessi in gioco richieda un particolare atteggiamento psicologico da parte del dipendente, oltre che del datore di lavoro. �Occorre, dunque, sviluppare un ambiente, un clima, una cultura d'interesse e valorizzazione dell'apprendimento continuo e della crescita delle competenze che possa indirizzare sistematicamente le persone verso il proprio sviluppo professionale� (Marco Rotondi : Work Learning Place: un modello di formazione centrato sulla fiducia). �E' oggi possibile, se si vuole, scegliere una strategia specifica di know-ledge management che abbia lo stile inconfondibile del rispetto della persona che apprende e della valorizzazione delle competenze individuali e collettive� (Alberto Munari: Processi d'apprendimento e gestione del know-ledge nelle organizzazioni) �Da molte ricerche emerge con forza il dato delle culture �espressive', di quelle culture del lavoro, cio�, che assegnano a quest'ultimo la funzione dell'opportunit�. Secondo questa cultura �il lavoro � la possibilit� di costruire insieme un progetto personale e professionale, da soli o con altri'. Dove convivono nella complessit� la dimensione della persona e quella professionale, sempre pi� intrecciate tra loro e non pi� divise; la dimensione del lavoro come progetto e non solo come diritto, ci� che apre ad un mondo nuovo; e, infine, la dimensione individuale e soggettiva ma anche quella sociale e collettiva� (Walter Passerini: Le parole per dirlo: la ricerca del senso nelle organizzazioni). Soprattutto da questo ultimo intervento di Passerini emerge come il lavoro, invece che un semplice mezzo utile per far fronte alle proprie esigenze economiche e di sopravvivenza, possa arrivare ad essere uno dei canali a disposizione per la realizzazione della propria vita, anche sotto il profilo eminentemente �esistenziale�, attraverso la caduta di quelle barriere che di fatto impediscono la �fusione� tra gli interessi personali e privati del soggetto con quelli lavorativi e, in definitiva, attraverso l'abbandono del concetto secondo il quale vita privata e lavoro siano due momenti diversamente ed indipendentemente definiti. Tutto ci� non procurando ingerenze dell'azienda nel privato, ma piuttosto con l'assunzione del punto di vista, da parte dal soggetto lavoratore, di una considerazione complessiva ed unitaria della propria vita, pur nella complessit� e molteplicit� degli interessi e delle aspirazioni. Se la �passione� per il proprio lavoro era un tempo frequente appannaggio delle sole professioni, utili al soggetto anche sotto il profilo della gratificazione personale, � necessario oggi che queste benefiche attribuzioni vengano a far parte di ogni attivit� lavorativa. Per la realizzazione di queste basi e di queste premesse, rimane preminente la funzione del mezzo formativo che � sempre fra i pi� validi a stimolare il verificarsi delle condizioni cui si tende: il dipendente dovr� poter ricevere il messaggio che l'azienda rappresenta un mondo culturalmente propositivo, di sviluppo della propria personalit�, del proprio stesso �io�. In questo senso deve giocare altres� il superamento di tanti baluardi che per tradizione si oppongono, da una parte e dall'altra, a far s� che quello del lavoratore sia sempre meno �lavoro dipendente� e sempre pi� �collaborazione�, come � intrinseco nel concetto di lavoratore come �imprenditore di se stesso�. Anche il dipendente, in altre parole, � destinato e deve diventare sempre pi� �professionista�. Purtroppo varie spinte si oppongono ancora a questa tendenza: da una parte la volont� di essere gli unici a determinare le scelte e i destini della propria azienda, concepita come qualcosa su cui si ha un �diritto di propriet�� assoluto (il classico atteggiamento padronale, non ancora estinto soprattutto nelle aziende di piccole dimensioni, del �qui si fa come dico io�), dall'altra la riluttanza ad avvicinarsi alle posizioni proprie della guida aziendale, conseguenza di timori, non sempre fondati, di esserne assorbiti. E' evidente come alle organizzazioni sindacali di parte imprenditoriale e di parte lavorativa che hanno voce a livello nazionale sia demandato un delicato ma fermo ruolo di impulso e di educazione, ciascuna per i propri rappresentati, in questa direzione, in primo luogo attraverso il loro diretto reciproco atteggiamento ed esempio.

Tutte le notizie