Data: 30/11/2008 01:00:00 - Autore: www.laprevidenza.it
Il giudizio de quo ha come sfondo fattuale una peritonite insorta ad un paziente all'esito di intervento chirurgico di polipectomia endoscopica effettuato all'interno di una struttura sanitaria universitaria. Nella sentenza in esame la Cassazione ha ribadito come resta a carico del medico – struttura sanitaria l'onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente e che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa a sé non imputabile, in quanto determinato da impedimento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuto. La distinzione, osserva la Corte, tra prestazione facile e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà non può valere come criterio di distribuzione dell'onere della prova, bensì solamente ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa riferibile al medico. L'art.2236 c.c. non ha alcuna rilevanza ai fini della ripartizione dell'onere probatorio, giacché incombe in ogni caso al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione, laddove la norma in questione implica solamente una valutazione della colpa del professionista in relazione alle circostanze del caso concreto ( Cass. Sez. Un. 11/01/2008, n.577). Il medico che vuole avvalersi della limitazione della responsabilità di cui all'art. 2236 c.c. (secondo il quale in caso del ricorrere di problemi di speciale difficoltà la stessa responsabilità per danni è limitata ai soli casi di colpa grave e dolo) deve “ dare la prova della particolare difficoltà della prestazione, laddove la norma in questione implica solamente una valutazione della colpa del professionista, in relazione alle circostanze del caso concreto ”. L'art.2236 c.c., osserva la Corte di Cassazione, ha come contenuto una regola di mera valutazione della condotta diligente del debitore, senza alcuna distinzione, sotto il profilo della ripartizione degli oneri probatori, tra interventi facili e difficili, in quanto “l'allocazione del rischio non può essere rimessa alla maggiore o minore difficoltà della prestazione”. Quando il risultato è “ anomalo” o “anormale” rispetto al convenuto esito dell'intervento ( o della cura), medico e struttura sanitaria sono tenuti a dare la prova che esso dipenda da fatto ad essi non imputabile perché non ascrivibile alla condotta diligente dovuta, tenendo presente le specifiche circostanze del caso concreto; se tale prova manca, ai sensi degli artt. 1218 e 2697 c.c. medico e struttura sanitaria rimangono soccombenti. ( Valter Marchetti, Foro di Savona)
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