|
Data: 24/12/2008 11:20:00 - Autore: Roberto Cataldi Via libera alle minacce all'interno della coppia. Sempre che siano parte le loro linguaggio abitudinario. Secondo la Cassazione, infatti, l'abitudine di minacciarsi in una coppia fa perdere l'efficacia intimidatrice di alcune espressioni. Dire ad esempio "che ti prenda un colpo", non é punibile se rientra nel "linguaggio consuetudinario" utilizzato dalla coppia stessa. Secondo gli ermellini le espressioni di minaccia più disparate se fanno pronunciate con abitudine nelle conversazioni perdono la loro efficacia intimidatoria. Sulla scorta di tale principio la Corte ha assolto un ragazzo che abitualmente, durante i litigi con la finanzata, si scambiava espressioni del tipo "che ti prenda un colpo ...". All'ennesima lite la coppia è finita in tribunale. La ragazza infatti si era sentita turbata da minacce di morte ricevute dal suo ex ed aveva sporto denuncia. Il Gup aveva assolto il ragazzo ritenendo che l'espressione avesse perso la sua carica minacciosa proprio perchè facente parte del gergo comunemnte usato dalla coppia. La Procura ricorrendo in Cassazione aveva chiesto una sentenza di condanna alla luce della "obiettiva gravita' della minaccia di morte e del turbamento derivatone alla persona offesa". Nulla da fare però, la Suprema Corte ha respinto il ricorso della Procura affermando che "la gravita' della minaccia dipende dalla sua carica intimidatrice e che l'entita' del turbamento psichico che ne può derivare viene desunta dall'insieme delle circostanze concrete in cui la minaccia viene formulata e dalle condizioni particolari in cui si trovano i soggetti coinvolti". Nella parte motiva della sentenza i Giudici di Piazza Cavour evidenziano che nel caso in esame la minaccia rivolta dal ragazzo alla sua ex fidanzata apparteneva al lessico abituale di entrambi e per questo "è senz'altro conforme a legge la valutazione che ha indotto il gup a ritenere che nei rapporti fra costoro la consuetudine della minaccia l'avesse privata di serietà, elidendone la normale efficacia intimidatrice". Da qui la decisione del "non luogo a procedere". |
|