Data: 01/07/2009 09:00:00 - Autore: Cristina Matricardi
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 26594/2009) ha stabilito che in mancanza di una specifica normativa, il mobbing non pu� trovare una tutela penale. In particolare, gli Ermellini hanno precisato che �nel nostro codice penale (�), nonostante una delibera del Consiglio d'Europa del 2000, che vincolava tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente, non c'� traccia di una specifica figura incriminatrice per contrastare tale pratica persecutoria definita mobbing. Sulla base del diritto positivo e dei dati fattuali acquisiti, pertanto, la via penale non appare praticabile�.
�E' certamente percorribile, invece �prosegue la Corte- (�), la strada del procedimento civile, costituendo il mobbing titolo per il risarcimento del danno patito dal lavoratore in conseguenza di condotte e atteggiamenti persecutori del datore di lavoro. La responsabilit� datoriale ha natura contrattuale ex art. 2087 c.c., norma questa in stretto collegamento con quelle costituzionali poste a difesa del diritto alla salute (art. 32) e del rispetto della sicurezza, della libert� e della dignit� umana nell'esplicazione dell'iniziativa economica (art. 41). Il legittimo esercizio del potere imprenditoriale, infatti, deve trovare un limite invalicabile nell'inviolabilit� di tali diritti e nella imprescindibile esigenza di impedire comunque l'insorgenza o l'aggravamento di situazioni patologiche pregiudizievoli per la salute del lavoratore, assicurando allo stesso serenit� e rispetto nella dinamica del rapporto lavorativo, anche di fronte a situazioni che impongano l'eventuale esercizio nei suoi confronti del potere direttivo o addirittura di quello disciplinare�.
La Corte ha infine precisato che �l'inserimento dei maltrattamenti tra i delitti contro l'assistenza familiare � in linea col ruolo che la stessa Costituzione assegna alla �famiglia', quale societ� intermedia destinata alla formazione e all'affermazione della personalit� dei suoi componenti, e nella stessa ottica vanno letti e interpretati soltanto quei rapporti interpersonali che si caratterizzano, al di l� delle formali apparenze, per una natura para-familiare. Tale connotazione deve escludersi nel caso in esame, considerato che la (�) era inserita in una realt� aziendale complessa (�), la cui articolata organizzazione (�) non implicava una stretta ed intensa relazione diretta tra datore di lavoro e dipendente, s� da determinare una comunanza di vita assimilabile a quella caratterizzante il consorzio familiare, e inevitabilmente marginalizzava i rapporti intersoggettivi, nel senso che non ne esaltava quell'aspetto personalistico connesso alla �supremazia-soggezione' tra soggetti operanti su piani diversi. Conseguentemente non � apprezzabile, in una simile realt�, la riduzione del soggetto pi� debole in una condizione esistenziale dolosa e intollerabile a causa della sopraffazione sistematica di cui sarebbe rimasto vittima�.
Tutte le notizie