Data: 24/07/2009 09:00:00 - Autore: Luisa Foti
Deve pagare l'Irap il notaio che per svolgere pubbliche funzioni attribuitegli dalla legge, si serve dell'aiuto del personale: a dirlo è la sentenza n. 16855 del 20 luglio 2009 della Corte di Cassazione. Secondo la ricostruzione che fa la Corte, il notaio aveva impugnato il silenzio rifiuto dell'amministrazione in merito al rimborso dell'Irap dell'anno 1984. L'impugnazione si basava sull'eccezione dell'inesistenza di una “attività autonomamente organizzata” tale da far sorgere l'obbligo di versamento dell'Irap. In primo grado, la commissione tributaria di Napoli, aveva accolto la richiesta del notaio adducendo la prevalenza del'apporto professionale rispetto agli elementi organizzativi dell'attività. Invece, la commissione tributaria regionale della Campania, facendo riferimento alla costante giurisprudenza della Cassazione, ha rigettato la richiesta del notaio affermando che è integrativo del presupposto dell'Irap il “lavoro dipendente da parte del professionista come pure l'utilizzazione di beni strumentali”. Su ricorso proposto dal notaio, la Corte, ha quindi stabilito che “ai fini della imposizione IRAP, l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall'impresa commerciale costituisce, secondo l'interpretazione costituzionalmente orientata della Corte costituzionale con la sentenza n.156 del 2001, presupposto dell'imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata. Il requisito dell'autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomi a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organzizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo, “l'id quod plerumque accidit”, costituiscono nell'attualità il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui”. Così i giudici di legittimità hanno accolto l'interpretazione fatta dal giudice di merito che è essenzialmente conforme ai principi appena elencati.
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