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Data: 29/07/2009 09:00:00 - Autore: Roberto Cataldi
Diventa pił difficile processare un datore di lavoro per maltrattamenti in azienda. La Cassazione ha infatti chiarito che il mobbing non č un reato anche se dallo stesso scaturiscono conseguenze sul piano civilistico.
Anche se si deve escludere la perseguibilitą penale la Corte invita i datori di lavoro a non tirare troppo la corda
evidenziando che "il legittimo esercizio del potere imprenditoriale
deve trovare un limite invalicabile nell'inviolabilita' dei diritti e
nella imprescindibile esigenza di impedire comunque l'insorgenza o
l'aggravamento di situazioni patologiche pregiudizievoli per la
salute del lavoratore, assicurando allo stesso serenita' e rispetto
nella dinamica del rapporto lavorativo, anche di fronte a situazioni
che impongano l'eventuale esercizio nei suoi confronti del potere
direttivo o addirittura di quello disciplinare".
Anche se la Cassazione ha riconosciurto che il lavoratore puņ sempre rivendicare il diritto al risarcimento del danno in un processo civile con la sentenza 26594/2009 i giudici della sesta sezione penale non hanno potuto fare altro che respingere il ricorso contro la duplice assoluzione accordata a un direttore generale di una grande azienda accusato di avere maltrattato una dipendente "nei cui confronti aveva assunto
sistematici comportamenti ostili, umilianti, ridicolizzanti e lesivi
della dignita' personale, tanto da procurarle lesioni gravi e
gravissime, soprattutto a livello psichico".
I giudici di merito lo avevano assolto dal reato di maltrattamenti ed ora l'assoluzione ha trovato conferma nella decisione di Piazza Cavour.
Nella decisione i Giudici evidenziano che "certamente la dipendente aveva vissuto
una situazione di forte conflittualita' che aveva determinato
contrasti con altri colleghi di lavoro, con dirigenti dell'azienda e
solo marginalmente e indirettamente con il direttore generale".
Si tratta di una situazione che in linea teorica puņ essere ricondotta al mobbing "la cui nozione evoca una condotta
che si protrae nel tempo con le caratteristiche della persecuzione
finalizzata all'emarginazione del lavoratore". Tuttavia "nel nostro codice penale nonostante una delibera del Consiglio d'Europa del 2000, che vincolava tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente, non
v'e' traccia di una specifica figura incriminatrice per contrastare la
pratica persecutoria del mobbing".
Unica possibilitą dunque iniziare una causa civile "costituendo il mobbing titolo per il risarcimento del danno patito dal
lavoratore".
Anche in relazione all'art. 572 c.p. (reato di maltrattamenti in famiglia) la Corte rileva che nella fattispecie l'impiegata era inserita in una "realta' aziendale complessa [...], la cui articolata
organizzazione non implicava una stretta e intensa relazione diretta
tra datore di lavoro e dipendente, si' da determinare una comunanza di
vita assimiliabile a quella caratterizzante il consorzio familiare".
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