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Data: 02/08/2009 - Autore: Luisa Foti La contabilità tenuta in nero e parallela a quella ufficiale, costituisce “elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge” fino a quando il contribuente non provi il contrario. Basta il flop-disk infatti al Fisco come prova di una contabilità parallela a quella ufficiale. Con questo principio, la Corte di Cassazione risolve una questione in materia tributaria con la sentenza n. 17365 del 24 luglio 2009, su ricorso proposto dall'Agenzia delle entrate, soccombente in secondo grado. L'Agenzia, infatti, aveva affermato che il giudice di merito, a torto, aveva ritenuto “difettare i requisiti di gravità, precisione e concordanza degli elementi utilizzati ai fini della rettifica - (nel caso di specie, la guardia di finanza aveva ritrovato un flop-disk contenente una contabilità “parallela”) - e trascurato di considerare i numerosi elementi di fatto evidenziati dall'Amministrazione in sede d'Appello, puntualmente indicati nel provvedimento impugnato e nel verbale della guardia di finanza”. La Corte, richiamandosi alla giurisprudenza precedente in materia, ha affermato che “il ritrovamento di una “contabilità parallela” a quella ufficialmente tenuta dalla società sottoposto a verifica fiscale, legittima di per sé, a prescindere cioè dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso al c.d. accertamento induttivo di cui all'art.39, 2° e 3° co, d.p.r. n. 600 del 1973. “si tratta, infatti, di dati e notizie da cui possono essere desunte omissioni o false o inesatte indicazioni, atteso che fermi restano i limiti di efficacia delle scritture contabili delle imprese soggette e registrazione anche le altre proveniente dall'imprenditore possono operare come prova contra se. La Corte ha spiegato che mentre le presunzioni legali non necessitano della prova di un fatto sul quale possano fondarsi e giustificarsi, le presunzioni semplici, al contrario necessitano di una prova (…) ma “una volta che la presunzione semplice si sia tuttavia formata e sia stata rilevata (cioè, una volta che del fatto sul quale si fonda si stata data o risulti la prova), essa ha la medesima efficacia che deve riconoscersi alla presunzione legale iuris tantum, in quanto l'una e l'altra trasferiscono a colui contro il quale esse depongono l'onere della prova contraria”. Pertanto, “la presunzione in assenza di prova contraria (quando, come nel caso, ammessa) impone al giudice di ritenere provato il fatto previsto, senza consentirgli la valutazione ai sensi dell'art.116 c.p.c. (…) Il giudice di merito incontra il solo limite della probabilità”: gli avvenimenti infatti si devono basare su sull'id quod plerumque accidit, cioè su quello che accade con più probabilità. Nel caso di specie, “è accertata – la contabilità - anche mediante dati e notizie raccolti con le modalità stabilite dall'art.51 del medesimo d.p.r. - (n.600/1973) - ovvero con ricorso a presunzioni semplici, a confronto delle quali l'Ufficio non è tenuto a offrire altre prove “concrete”, ma è il contribuente tenuto ad offrire la prova contraria” (come ad esempio afferma anche la sentenza della Cassazione del 10 giugno 2006, n.15299 o anche la n.1575 del 24 gennaio 2007). Non essendo stato dedotto ne provato nessun elemento, può pertanto essere provata tramite un flop disk la contabilità parallela e tenuta in nero. |
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