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Data: 08/09/2009 09:00:00 - Autore: Cristina Matricardi “Né l'attore - aggiunge la Corte - assume di aver allegato e provato che il coniuge versava a lui personalmente parte del suo reddito per utilità proprie di esso attore (nel qual caso bisognava anzitutto compensare tali somme con quelle versate ad eguale titolo personale dal marito alla moglie), per cui, a seguito del decesso, avrebbe perso tali proventi. Ne consegue che correttamente la corte di merito ha calcolato il danno patrimoniale subito dall'attore, coniuge superstite, escludendo sia la parte di reddito che, per quanto conferita alla gestione familiare, veniva poi utilizzata per sopperire ai consumi (in senso lato) nell'ambito di tale comunione familiare da parte della stessa vittima, sia la c.d. ‘quota sibi' (la parte, cioè, del reddito che la defunta avrebbe speso per sé, senza farla transitare attraverso la comunione familiare). L'accertamento di tale danno patrimoniale, come l'accertamento dell'ammontare di detta ‘quota sibi', rientra nei poteri del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione, se immune da vizi di motivazione (…). La liquidazione di tale danno non può che essere essenzialmente equitativa, fondata su nozioni rientranti nella comune esperienza, stante l'impossibilità di un accertamento specifico del quantum”. |
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