|
Data: 30/06/2009 09:00:00 - Autore: Redazione L'erede che intende dimostrare per testimoni e per presunzioni la simulazione di atti compiuti in vita dalla de cuius ai fini di ottenere la reintegrazione della legittima, deve essere equiparato ai terzi quanto alle facoltà riconosciutegli dalla legge. Sulla scorta di questo principio la Corte di Cassazione (sentenza 19284 del 2009) ha dato ragione a una donna separata che aveva contestato gli atti compiuti in vita dall'ex marito il quale aveva trasferito a titolo oneroso la nuda proprietà di un fabbricato e alcuni appezzamenti di terreno allo scopo di vanificare i diritti successori dell'ex moglie. La donna aveva sostenuto che in realtà tali trasferimenti non erano state fatte titolo oneroso ma gratuitamente. Nella parte motiva della sentenza si legge: "La giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. 24 luglio 2008 n. 20373) è univocamente orientata nel senso che l'interpretazione della domanda, comportando accertamenti di fatto e valutazioni di merito, non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell'omissione, insufficienza o contraddittorietà della relativa motivazione. La sentenza impugnata è però effettivamente inficiata da tali vizi, poichè il giudice a quo si è limitato sul punto a osservare che "nel procedimento di primo grado la [...] ha chiesto che il giudice dichiarasse il suo diritto quale moglie separata alla metà del patrimonio relitto e dichiarasse la simulazione delle vendite e cessioni onerose eseguite dal defunto ante mortem. E' agevole ritenere che nessuna domanda di riduzione ha proposto la [...], sicchè esattamente il Tribunale, sa pure con motivazione non sempre corretta, ha ritenuto che non potesse provare a mezzo di testimoni la addotta simulazione". Non si è dunque tenuto alcun conto dell'integrale contenuto delle conclusioni formulate nell'atto introduttivo del giudizio (che sono state riportate nel contesti) del ricorso per cassazione, in ottemperanza alla regola dell'"autosufficienza") con le quali l'attrice, facendo valere il proprio diritto alla quota di metà del patrimonio ereditario spettacolare come legittimaria, aveva espressamente chiesto, previo accertamento del carattere gratuito delle alienazioni del 4 febbraio 1991, la loro "riduzione fino alla quota stessa": istanza poi ribadita nelle memorie e comparse dell'attrice, nelle sue conclusioni finali e in quelle dell'atto di citazione in appello (delle quali ugualmente è contenuta nel ricorso per cassazione l'integrale trascrizione, in ordine alla cui esattezza non sono state mosse contestazioni di sorta da parie dei resistenti). La Corte d'appello, anzichè basarsi su un'assiomatica negazione, avrebbe dovuto compiutamente e argomentatamente spiegare le ragioni per le quali ha reputato, a fronte dei suddetti dati testuali, che non fosse stata esercitata un'azione di riduzione e che pertanto non fosse applicabile nella specie il principio - costantemente enunciato nella giurisprudenza di legittimità: v. altre, Cass. 20 ottobre 2008 n. 26262 - secondo cui l'erede che propone domanda di reintegrazione nella legittima è equiparato ai terzi, ai fini della facoltà di provare per testimoni e presunzioni la simulazione degli atti compiuti in vita dal de cuius. Restano assorbiti gli altri motivi di ricorso, con i quali [...] lamenta che la Corte d'appello non ha utilizzato gli elementi indiziari che le erano stati prospettati a dimostrazione del carattere gratuito delle alienazioni in questione, non ha ammesso la prova orale che in proposito era stata dedotta, ha considerato nuove le domande invece già proposte in primo grado, ha disconosciuto il diritto di abitazione nella casa che comunque competeva alla vedova de defunto come legittimarla. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d'appello di Palermo, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità". |
|