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Data: 02/01/2010 09:00:00 - Autore: Cristina Matricardi La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 41471/2009) ha stabilito che commette reato di truffa il dipendente pubblico che si fa timbrare il cartellino da un collega per andarsene allo stadio. Gli Ermellini hanno ricordato quanto puntualizzato dalle Sezioni Unite in relazione alla dedotta distinzione tra il delitto consumato e tentato di truffa: "nel delitto di truffa, mentre il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l'elemento del danno deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, l'elemento del danno deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l'effetto di produrre – mediante la ‘cooperazione artificiosa della vittima' che, indotta in errore dall'inganno ordito dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione – la perdita definitiva del bene da parte della stessa; ne consegue che in tutte quelle situazioni in cui il soggetto passivo assume, per incidenza di artifici e raggiri, l'obbligazione della dazione di un bene economico, ma questo non perviene, con correlativo danno, nella materiale disponibilità dell'agente, si verte nella figura di truffa tentata e non in quella di truffa consumata". Il delitto di truffa - spiega la Corte - si perfeziona, quindi, "non nel momento in cui il soggetto passivo assume un'obbligazione per effetto degli artifici o raggiri subiti, bensì in quello in cui si verifica l'effettivo conseguimento del bene economico da parte dell'agente e la definitiva perdita di esso da parte del raggirato”. Ma ancora. La Corte ha aggiunto che “nella fattispecie si è verificata una lesione concreta e definitiva del patrimonio dell'Ente pubblico, mediante una dazione patrimoniale non dovuta, costituita dal corrispettivo non dovuto, pacificamente percepito dall'imputato (…) che ben avrebbe potuto, quantomeno, dichiarare di rinunciare, prima della sua percezione, all'importo relativo all'assenza del lavoro ingiustificata” e che “irrilevante ai fini della configurazione è la dichiarazione del teste (…) che ha affermato che ‘tutti gli impiegati sono in credito di orario di lavori effettuato in più e mai in meno', trattandosi di dichiarazione generica e non avendo, comunque, l'imputato mai dichiarato o affermato di volersi avvalere di tale addotto e non dimostrato ‘credito', avendo fondato la sua difesa su argomenti assolutamente incompatibili con tale deduzione, ritenendo giustificata l'assenza con l'addotto permesso di assentarsi dal lavoro”. Secondo i Giudici, il rimprovero che si muove al dipendente “non è tanto quello di essersi recato – durante l'orario di servizio – ad assistere ad un incontro di calcio, ma di aver percepito un ingiusto profitto, ricevendo la retribuzione anche in relazione ai tempi in cui sia assentato, con corrispondente danno del Comune, ingenerando negli organi preposti al controllo delle presenze la falsa rappresentazione che egli avesse lavorato', con un indebito percepimento di una retribuzione senza titolo mediante una falsa rappresentazione della realtà; peraltro il permesso, che viene annotato su un giornale ad evidenti fini retributivi non risulta annotato in tale occasione”. |
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