Data: 12/11/2009 09:18:00 - Autore: Francesca Bertinelli
Il danno alla professionalit�, poich� danno conseguenza e non danno evento, non � suscettibile di valutazione in re ipsa e deve essere provato da parte del lavoratore. Poich� tale danno sussista � necessario, infatti, che si produca una lesione aggiuntiva ed autonoma, con riflessi sulle aspettative di progressione professionale, sulle abitudini di vita del lavoratore e sulle relazioni da lui intrattenute sostanziandosi in un'effettiva lesione della dignit� personale del lavoratore. Proprio a causa delle molteplici forme che pu� assumere il danno da dequalificazione, si rende indispensabile una specifica allegazione da parte del lavoratore, che deve precisare quali di essi ritenga in concreto di aver subito, fornendo tutti gli elementi e le peculiarit� della situazione di fatto. Non � quindi sufficiente prospettare l'esistenza della dequalificazione e chiedere genericamente il risarcimento del danno, non potendo il Giudice prescindere dalla natura del pregiudizio lamentato e valendo il principio generale per cui il Giudice non pu� mai sopperire all'onere di allegazione che concerne sia l'oggetto della domanda, sia le circostanze in fatto su cui questa trova supporto. Questa pronuncia sottolinea l'inammisibilit� di una duplicazione delle voci di danno rispetto alla stessa fonte causale attraverso diverse etichettature delle pretese risarcitorie. La Sez. lav. (Sentenza n. 20980/2009) ribadisce dunque l'orientamento espresso dalle Sez. Unite secondo cui le diverse categorie elaborate dalla dottrina e giurisprudenza (danno biologico, danno esistenziale, danno da perdita del rapporto parentale�.ecc) costituiscono una mera sintesi descrittiva dell'unica categoria concettuale esistente, quella cio� del danno non patrimoniale, il cui doveroso integrale risarcimento impone di tener conto, nella quantificazione, di ciascun pregiudizio (integrit� psico-fisica, dignit� della persona�.ecc) ma senza duplicazioni.
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