Data: 29/01/2010 10:00:00 - Autore: Roberto Cataldi
La Corte di Cassazione invita ad una maggiore educazione nei rapporti tra vicini ed avverte: certe espressioni volgari come il "vaffa" che in certi casi sono diventate di uso comune, e non condannabili, vanno bandite invece tra vicini. Secondo la Corte, non si tratta solo di un problema di educazione perchè spiega la V Sezione penale (sentenza 3931/2010), "i rapporti di vicinato devono essere improntati ad un maggiore rispetto reciproco tra le persone perche' altrimenti inducono ad una impossibilita' di convivenza che invece e' necessitata dalla quotidiana relazione nascente dal fatto abitativo e che deve essere garantita". Sulla scorta di tale motivazione è stato accolto il ricorso della Procura di Ancona contro l'assoluzione di un imputato reo di essersi rivolto ad un vicino di casa dicendogli "fate schifo, vaffa... a te e a chi ti ci ha portato". GLi animi si erano scaldati per questioni di parcheggio ed il caso era finito in tribunale per l'ipotesi di reato di ingiuria. In primo grado il giudice di pace assolveva l'imputato perchè l'espressione, ormai di uso comune e "pronunciata tra soggetti in parita' perche' vicini di casa non assumeva una valenza offensiva". Di diverso avviso la suprema corte che ha considerato il 'vaffa' tra vicini un'espressione che ha un significato "di disprezzo". Altre informazioni su questa sentenza La Corte, annullando l'assoluzione ha sottolineato che le espressioni volgari "proferite ai vicini di casa non hanno perso il carattere spregiativo". Infatti "proprio perche' coinvolgono la vita di relazione quotidiana tra vicini di casa" il vaffa e simili "non perdono la valenza spregiativa dell'onore che contengono in se". E se, in alcuni casi il gergo triviale "ha perso la portata offensiva specialmente se profferito in un discorso tra soggetti in posizione di parita'", la stessa cosa non si puo' dire in un contesto tra vicini di casa. In questo caso il 'vaffa' e' "spregiativo dell'onore e del decoro". Ora sara' nuovamente il giudice di pace di Ancona a stabilire la condanna da infliggere all'imputato che aveva mandato a quel paese il vicino di casa.
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