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Data: 10/08/2013 10:00:00 - Autore: Prof. Gennaro Iasevoli Le ragioni della protezione psicologico-giuridica, della detenzione degli animali d'affezione, risalgono ad alcuni concetti che sono alla base del benessere psicologico e della convivenza civile:
Il significato psicologico-giuridico ed i benefici della compagnia degli animali d'affezione vengono studiati in relazione ai bisogni secondari della persona durante lo sviluppo psicologico nell'età evolutiva. La socializzazione primaria dei bambini in ambito familiare trae vantaggio dalla presenza degli animali di affezione, con i quali essi stabiliscono addirittura un rapporto di tipo psicologico-parentale ed una comunicazione verbale e non verbale, alla pari di altri fratelli. Man mano che il bambino cresce e comincia a frequentare la scuola materna, si accorge che le regole imposte dai genitori sono, “stranamente”, di impedimento alla continuazione, del fraterno rapporto instaurato con l'animale, durante l'orario scolastico e durante la notte. Il ragazzo più scolarizzato, già verso gli otto anni, comincia a capire le ragioni e le regole biologiche che impongono comportamenti vitali umani, separati da quelli degli animali di affezione e comincia a darsi le risposte sulle differenti nature e sulle regole diverse che si impongono durante la coabitazione e la convivenza. Col passare degli anni, ormai a quindici anni, (per esempio, gli studenti di liceo) hanno una coscienza più completa della natura animale e quindi delle caratteristiche comportamentali da osservare nei confronti degli altri esseri viventi, nel rispetto delle norme di igiene e di legge. La coscienza dell'armonica convivenza naturale con le altre specie biologiche, dall'antichità, si allarga persino al mondo vegetale fino a raffigurare legami psicologici anche con le piante, che travalicano il senso della proprietà e della utilità (legame psicologico di “affezione”, legame psicologico di “venerazione”). Anche le religioni hanno contribuito a consolidare alcuni legami col mondo animale e vegetale e ne hanno combattuti altri adducendo proprie ragioni e principi. Gli studiosi di storia delle tradizioni e di antropologia parlano di alcuni animali oggetto di venerazione o di avversione, per esempio ricordano l'apprezzata simbologia della colomba e di converso l'avversione per il serpente o il rispetto per le vacche l'avversione verso il maiale, la venerazione dello scarabeo e la paura ingenerata dal pipistrello e dal topo, l'amore verso i criceti, i gatti, i cani, i conigli, i cavalli, gli uccelli, i pesci, le lucertole, le tartarughe, i ragni; la situazione si ripete nel mondo vegetale quando gli uomini e le donne nutrono affetto verso alcuni fiori e la repulsione verso alcune piante se usate per la simbologia cimiteriale; alcune piante da frutta, poi, sono amate e privilegiate, tra cui il cedro e l'ulivo, mentre altre sono schivate senza un chiaro motivo. Alcuni scrittori, già nel passato, pur non essendo psicologi, hanno cercato di interpretare satiricamente il ruolo simbolico e di affezione rivestito da alcuni animali nell'esistenza degli umani. Nel 1763 il poeta Giuseppe Parini pubblica l'opera satirica sull'aristocrazia “il Giorno” e nella parte dedicata al “mezzogiorno del giovine signore” descrive la cagnetta (che chiama vergine cuccia); la cagnetta “cuccia”, allevata dalla famiglia benestante, nel mordere giocosamente il piede di un cameriere viene scacciata con un calcio dallo stesso, in seguito a tale evento il servo viene punito col licenziamento e per la gravità dell'atto rimane per sempre disoccupato. Attorno al 1945 uno scrittore britannico, George Orwell scrive – a scopo ideologico - un romanzo satirico intitolato la Fattoria degli animali, che si diffuse dopo qualche anno anche in Italia; egli con toni satirici afferma che “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni (i maiali) sono più uguali degli altri”, alludendo anche ad alcuni comportamenti umani. Questa panoramica intesa a raffigurare la geografia dell'affetto umano nei confronti del regno umano e vegetale è stato oggetto di un enorme interesse da parte dei giuristi e dei legislatori che si sono trovati e si trovano a fronteggiare una serie di esigenze “affettive” vitali delle persone e di conseguenza una mole di controversie che nascono ogni volta che i comportamenti fisici e psicologici, umani, riassunti nel senso di “affezione”, vengono impediti, limitati o frustrati. Le norme vigenti riguardanti gli animali di affezione trovano riferimenti nel codice civile e penale. Le norme nazionali vengono via via integrate anche dalle norme regionali e comunali. Esse rappresentano un ottimo strumento di convivenza civile atto a scongiurare l'insorgenza di liti e pericolosi risentimenti psicologici di persone o di famiglie antitetiche sul tema dei rapporti con gli animali. Queste “salutari” norme generalmente prevedono che: 1) siano riconosciuti animali di affezione i cani , i gatti, criceti, uccellini (canarini, cocorite o uccelli più grandi (pappagalli, merli, colombi, tortore, eccetera): 2) il numero massimo consentito rispetti le esigenze geografiche territoriali e la densità demografica dei quartieri abitativi, ( in alcuni comuni il numero massimo di animali non può essere superiore a 15, compresi cuccioli e nidiate stagionali, per nucleo familiare, le coppie degli uccelli imprigionati in gabbia non superiore a cinque e non più di una coppia di animali da pelliccia, ciò allo scopo di evitare la configurazione di allevamenti veri e propri non autorizzati nel centro abitato); 3) non siano detenuti nelle aree condominiali e siano rispettate le distanze previste dei ricoveri degli animali posseduti dalle altre abitazioni ( in alcuni comuni, 5 metri dal confine di proprietà e 10 metri dalle abitazioni vicine); 4) siano sempre rispettate le norme igieniche, in modo da non causare danni o disturbi con esalazioni odorigene, diffusione di mosche, parassiti e topi o con altro genere di problematiche ai condomini ed ai vicini; i ricoveri devono essere costruiti in modo da rispettare l'ambiente ed il proprietario gli animali è tenuto a provvedere alla pulizia giornaliera degli spazi privati e dei ricoveri ove vengono allevati, (applicando gli interventi profilattici per impedire le zoonosi o altre infezioni); 5) si rispettino le modalità di conduzione previste in aree pubbliche e mezzi di trasporto privati e pubblici (uso del guinzaglio, museruola, sacchetti e palette adatte alla rimozione degli escrementi ai fini dello smaltimento igienico; 6) siano rispettate le modalità comunali di
allontanamento o di soppressione, per sopraggiunte e provate
necessità sanitarie.
doc di
Psicologia giuridica – Facoltà di Giurisprudenza, Università di Napoli,
Parthenope. Nota (*)(alcuni riferimenti giuridici): Art. 1 della L. 20 luglio 2004 n. 189, TITOLO IX–Bis - Art. 544-bis. - (uccisione di animali). - Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi. Ai sensi dell'art. 544 ter del Codice Penale commette un reato penale che partecipa all'esecuzione del taglio della coda, delle orecchie, e mutilazioni non giustificate da necessità terapeutiche certificate. Art. 544-ter. - (Maltrattamento di animali). - Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale. Art. 638 :Chiunque senza necessita' uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri e' punito, salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire seicentomila. La pena e' della reclusione da sei mesi a quattro anni, e si procede d'ufficio,…… --. Art. 727. - (abbandono di animali). - Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze. |
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