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Data: 28/11/2010 10:00:00 - Autore: L.S. "Il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile non già ad un licenziamento disciplinare, bensì ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo… Solo impropriamente, riguardo a tale licenziamento, si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze relative alla causale e trattandosi di eventi, quale l'assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta." Ne consegue che "il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee a evidenziare un superamento del periodo di comporto". Questi i principi affermati dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23920 del 25 novembre 2010, in relazione al ricorso di un lavoratore licenziato per superamento del periodo di comporto previsto dal contratto collettivo, pari a dodici mesi durante l'arco di ventiquattro mesi. La Corte di Appello di Catania, in riforma della decisione del giudice di primo grado, respingeva la domanda del lavoratore intesa ad impugnare il licenziamento, precisando che la datrice di lavoro non era tenuta a comunicare i singoli giorni di assenza per malattia, come preteso dal dipendente; la Corte affermava, inoltre, che non poteva configurarsi violazione del principio di immediatezza del recesso, poiché il lasso di cinque mesi fra il superamento del periodo di comporto e il licenziamento doveva ritenersi congruo in relazione alla necessaria valutazione datoriale circa le gravi conseguenze del recesso in pregiudizio del lavoratore. Avverso tale decisione il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione ma quest'ultima, condividendo l'orientamento del Giudice di merito, ha rigettato le motivazioni del dipendente stabilendo, oltre ai principi già riportati, che "la tempestività del recesso conseguente al superamento del periodo di comporto deve essere considerata in relazione all'esigenza di un ragionevole spatium deliberandi che va riconosciuto al datore di lavoro perché egli possa convenientemente valutare nel suo complesso la sequenza di episodi morbosi del lavoratore in rapporto agli interessi dell'azienda". |
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